La premessa è d’obbligo: nessuna intenzione di sostituirsi alle organizzazioni professionali ma la volontà di proporre una strategia e di dare un contributo concreto allo sviluppo di un piano strategico per il vino italiano. Ci hanno lavorato per molti mesi autorevoli nomi del comparto nazionale, tra imprese (sia private sia cooperative), manager e distributori. E all’auditorium Verdi della Fiera di Verona, il 15 dicembre, ha visto la luce un primo documento ufficiale, che ha messo nero su bianco (in 61 pagine) idee e proposte ad ampio raggio. Vision 20/30, questo il nome del progetto, partito da un’idea di Ettore Nicoletto (amministratore delegato del gruppo Bertani), ha coinvolto per ora 23 autorevoli nomi del vino italiano. Si tratta di un tavolo aperto (non a inviti, a cui si può contribuire liberamente attraverso il sito www.vision2030.wine) che si è concentrato su 6 specifiche tematiche.
Vision 20/30. I 6 temi e le 2 appendici
- Gestione potenziale produttivo
- Identità e posizionamento
- Comunicazione
- Enoturismo
- Struttura industria vinicola e M&A
- Formazione e competenze risorse umane
- a. digitalizzazione
- b. sostenibilità
Le tematiche dall’equilibrio domanda/offerta alla comunicazione, dall’enoturismo all’identità e posizionamento, dalle fusioni/acquisizioni alla formazione delle risorse umane), a cui si sono aggiunti temi trasversali come digitalizzazione e sostenibilità. “Mai come oggi” ha spiegato Nicoletto “manager e imprenditori del vino devono sentirsi responsabili non solo nella gestione delle loro imprese ma anche nel supporto alla costruzione di politiche e strategie adeguate per garantire la competitività del comparto vitivinicolo anche nel prossimo futuro”. L’obiettivo dei prossimi mesi è dare vita a un dibattito che allarghi il confronto e lo scambio. La presentazione di sezioni del documento, in momenti dedicati, consentirà ad altri operatori di dare un ulteriore contributo al perfezionamento di Vision 20/30, per dare al progetto una portata più ampia e rappresentativa. E, dopo l’esordio, i promotori stanno già riflettendo se passare anche a una fase due.
Lo scenario: export Italia verso i 7,1 miliardi di euro
In quale contesto si sono mossi i tavoli di lavoro? Il quadro del vino mondiale, nel periodo di pandemia, vede un’Italia in netta ripresa nel 2021, come la maggior parte dei Paesi esportatori, con un rimbalzo che potrebbe registrare un export da record sui 12 mesi, oltre i 7,1 miliardi di euro, come ha sottolineato Denis Pantini, responsabile di Nomisma Wine Monitor, partner scientifico del progetto Vision 20/30. “Il vino italiano si avvia a chiudere l’anno con un +14%, a fronte di una Francia che supererà gli 11 miliardi, con incrementi del 27%, di una Spagna a +11%, di un Cile a +3% e di un’Australia, invece, che è un po’ il grande malato del 2021 per via dei dazi applicati dalla Cina che le costeranno il 23%”.
I numeri di Wine Monitor illustrati a Verona hanno mostrato anche il forte gap, che “non si è ridotto”, nel prezzo medio dei vini italiani rispetto ai francesi: 3,76 euro al litro contro 6,6 euro, a ottobre 2021. E hanno evidenziato, a fronte di una riqualificazione dell’export nel decennio 2009/19 con meno sfuso (dal 33% al 22%) e con più confezionato, una minore differenziazione nel paniere dei mercati clienti (oltre il 63% delle vendite italiane fuori confine si concentra in 5 mercati, mentre i primi 5 sbocchi per la Francia pesano il 50%) e, infine, l’annosa frammentazione del sistema delle imprese (dall’eccesso di Dop alle fasi di trasformazione).
Punti deboli del sistema Italia
È stato proprio il manager di Bertani ad aprire la tavola rotonda su identità e posizionamento, stigmatizzando in primis i punti deboli del sistema Italia: “Siamo geograficamente poco estesi, non c’è una distribuzione perequata, insistiamo sugli stessi business” ha dichiarato Nicoletto “affollandoci su una Dop se questa va bene, come accade per Prosecco e Pinot grigio, spesso senza guardare al nostro immenso patrimonio e alle sue potenzialità. Manca un po’ di coraggio”. C’è poca compattezza anche sul fronte promozionale: “Ci siamo resi conto che non c’è unitarietà nel messaggio veicolato, nonostante gli sforzi di Ice, Camere di commercio, Consorzi”. Vision 20/30 ha provato a trovare un denominatore comune.
I valori del vino italiano
Partendo dal fatto che qualità della vita è sinonimo di italianità, il tavolo di lavoro di Vision 20/30 su identità e posizionamento ha puntato su varietà, versatilità e abbinabilità come concetti collegati a un vino “food friendly”, duttile, facilmente accostabile ai cibi e in grado di valorizzare al meglio l’esperienza gastronomica. “In un periodo in cui il consumo di alcolici è avversato da più parti, come Oms e Ue, promuovere il vino in questa chiave si sposa bene col concetto di dieta mediterranea e l’Italia” secondo Nicoletto “può fare la differenza rispetto a tutti gli altri distretti mondiali”. Pertanto, il position paper presentato a Verona dà fiducia alle capacità del vino di catalizzare relazioni e socialità, sostenibilità, valori familiari e artigianalità sia di grandi che di piccole imprese. In questo senso, sviluppare l’immagine sostenibile della viticoltura italiana (17,8% di vigneto bio) è tra le azioni proposte. Così come è necessario promuovere centri studi e osservatori (anche ministeriali) che indirizzino le scelte industriali a seconda dei trend di mercato.
Dare stimolo alle aggregazioni
Le ridotte dimensioni medie delle imprese, la scarsa propensione a rivedere i modelli di business (distinguendo parte commerciale e parte immobiliare), i tempi lunghi dei ritorni sugli investimenti e una sostanziale assenza di manager di settore, sono i principali limiti italiani, secondo il documento unitario, quando si parla di struttura industriale. Come ha rilevato Roberta Crivellaro (Studio legale Withers), favorire l’aggregazione delle reti di imprese può essere una risposta alle istanze di un mercato segmentato, in cui influisce negativamente anche un passaggio generazionale che scoraggia l’ingresso di investitori. “Si potrebbero prevedere incentivi fiscali che siano da stimolo alle aggregazioni” ha dichiarato Crivellaro “e tax credit per chi opera fusioni creando poli più ampi”. Inoltre, il crescente interesse dei fondi di investimento verso il vino (per ora concentrato sugli imbottigliatori) può essere stimolato, ad esempio, dalla creazione di fondi immobiliari ad hoc per la messa a reddito di terreni vitati, prevedendo nuove forme di garanzie collaterali ai finanziamenti.
Come gestire domanda e offerta
La gestione del potenziale produttivo è stata oggetto di un ulteriore tavolo. Marco Nannetti (Terre Cevico) ne ha illustrato i risultati, partendo da un assunto: “L’internazionalizzazione dei mercati è l’unica vera soluzione strutturale per portare in equilibrio domanda e offerta. Quindi non vogliamo tornare ai tempi delle misure di mercato che tendevano a distruggere il prodotto, come è avvenuto anche nel 2020 in piena emergenza Covid”. La filiera italiana ha, tra i punti di forza, un regime all’1% di autorizzazioni, che va mantenuto, lo strumento della ristrutturazione dei vigneti tramite fondi Ocm, la gestione dell’offerta mediante i Consorzi, il monitoraggio di produzioni e giacenze con Cantina Italia e col Sian. Tuttavia, su 500 Dop/Igp vinicole solo 80 portano in bottiglia la quasi totalità del potenziale rivendicato; inoltre, è difficile comunicarle per la scarsa capacità di Consorzi troppo piccoli. E c’è, poi, il tema delle rese dei vini generici: “Sono una risorsa ma va approvato il decreto Mipaaf che limita le rese a 40 e a 30 tonnellate/ettaro. Non giova al sistema non avere una legge che disciplini tali prodotti”, ha sottolineato Nannetti.
Più investimenti in comunicazione e analisi di mercato
È un dato di fatto che il Made in Italy sia sinonimo di eccellenza che mette assieme storia, tradizione e paesaggio. Ed è anche vero che la diversificazione del portfolio dei prodotti consenta uno sviluppo multilivello. Ma, sul fronte della comunicazione, secondo il position paper di Vision 20/30, le imprese italiane investono troppo poco, c’è poca ricerca su mercati e consumatori, la grande offerta di vitigni genera frammentazione e manca una regia nella comunicazione internazionale, che appare concentrata su pochi Paesi target.
Le opportunità, come ha rilevato Marcello Lunelli (Gruppo Lunelli), sono tante: “Siamo la nazione del bello, facciamo cose buone e ben fatte, di tipo artigianale. Oggi, finalmente, i distretti dove c’è eccellenza stanno tornando a investire sull’Italia dopo essersi spostati all’estero. La nostra comunicazione sul vino deve, quindi, puntare sull’essere riconoscibilmente italiani. Bere italiano, per dirlo in una battuta, deve fare figo”. Le opportunità in questo senso arrivano dal digitale: “Non è qualcosa che si sostituisce all’esperienza fisica” ha detto Camilla Gianazza (Jakala group) “ma la affianca e la potenzia, consentendo di aprire nuove modalità di contatto col consumatore”. Ecco perché è importante lavorare alla profilazione dei clienti web, sia sul lato del rispetto delle regole sulla privacy sia sul fronte della qualità delle informazioni raccolte: “L’analisi dei dati sarà fondamentale per impostare le decisioni e gli investimenti aziendali, in funzione del target. Le aziende che performano bene nel digital sono quelle che formano personale nella comprensione di tali dati”.
Enoturismo come leva di mercato
In Italia, ogni vino è una destinazione e l’enoturismo è tra i migliori strumenti per comunicarlo direttamente e senza filtri. Il tavolo Vision 20/30 considera tale segmento come driver di tutto il turismo italiano, capace di inglobare anche design, lifestyle e moda. Ma come accade per le Dop, risulta complicato valorizzare al meglio l’offerta. Una debolezza, questa, che è “risolvibile con un coordinamento unico e specifico, una regia unica che unisca vitivinicoltura ad attività turistica”. Le risorse economiche spesso sono disperse e la digitalizzazione delle imprese va migliorata. I consumatori esteri, del resto, si aspettano esperienze più digitalizzate dalle cantine ma solo il 2,8% delle imprese offre virtual tour e l’1,9% che offre degustazioni ed eventi online.
A fronte di un flusso di arrivi esteri che non tornerà ai livelli pre-crisi se non nel 2026, Vision 20/30 suggerisce di investire sul mercato interno con la formazione di ambasciatori di comunità e di territorio, ma anche di sfruttare la vetrina dei grandi eventi come i Giochi Olimpici.
Formazione: misurare l’occupazione
Il capitolo formazione è uno dei più complessi, come ha sottolineato Massimo Tuzzi (Terra Moretti vino), perché innanzitutto non ci sono dati ufficiali e specifici sulle forze lavoro nel vitivinicolo italiano: “Abbiamo bisogno di misurare i gradi di occupazione e disoccupazione in tutte le fasce di età ed è questa una prima importante proposta. Perché non possiamo certo migliorare ciò che non si può misurare”. Il manifesto di Vision 20/30 punta a ottenere una mappatura degli enti di formazione italiani e propone che le imprese aprano le porte alle scuole di formazione per intercettare nel concreto le esigenze dell’industria: “Pensiamo a moduli formativi che non si concentrino solo sull’export o sulle tecniche enologiche, ma anche sulla finanza e il controllo di gestione, che è una parte spesso trascurata”.
a cura di Gianluca Atzeni
La versione completa di questo articolo, con l’elenco dei partecipanti a Vision 20/30, le reazioni delle associazioni di categoria è stata pubblicato sul Settimanale Tre Bicchieri del 16 dicembre 2021
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