Un vinile, una candela e una bottiglia di rosso. iPhone sequestrati all’ingresso, come in un wine shop di Riyad, abbiamo deciso di regalarci una serata analogica. Si correrà perfino il rischio di guardarci dritti negli occhi. Che mondo, quello del vino: una via a senso unico, una volta dentro non ne esci nemmeno se sei Eddie Merckx, dice un esperto attempato. E probabilmente ha ragione. A livello di gusto non c’è nulla di lontanamente paragonabile per complessità, racconto, evoluzione. Il vino cambia con noi, invecchia con noi, parla di noi. Una volta presa la mano, il suo potere evocativo non ha confini, noi abbiamo sempre pensato al vino come un potentissimo invito al viaggio, sia temporale che spaziale. Ci porta indietro e avanti come una macchina del tempo, ci lascia immaginare fondali marini sotto le vigne, confonde il piano dei ricordi e quello delle aspettative.
La magia che frega l’algoritmo
“Prendiamoci un bicchiere” non è solo una scusa per rimorchiare: vuol dire prendersi un po’ di tempo per sé, per aprirsi all’altro. Il ritmo lento del vino chiamerebbe pazienza, cincischiando sui dettagli. A dirla tutta, nella maggior parte dei momenti più felici della nostra vita c’è sempre stata una buona bottiglia a farci compagnia. Di quelle serate in cui non si parla di vino, ma è lì a suggerirci domande che magari non avremmo fatto, a dare ritmo a discorsi, sogni e passioni. A rendere non solo il cibo più buono e vitale, ma anche l’amore. Al tempo degli algoritmi e di sua maestà chatGPT, il vino ha un sapore sovversivo, una parte della sua magia rimane inspiegabile. Mancano, infatti, i big data fondamentali.
Autenticità cercasi
Nel 2024 bere un buon rosso è un atto romantico; il vignaiolo, uno dei pochi lavori ancora tramandati di padre in figlio, è un vero custode di territori spesso in rapido spopolamento. Ma chi ci vuole vivere a Serralunga d’Alba piuttosto che a Randazzo? Tra distese di filari e coprifuoco alle 20. Mentre ceniamo pensiamo ai vini che vorremmo: schietti, franchi, magari con uno spigolo appena più pronunciato, dateci una ruga o un neo distintivo. Vogliamo ascoltare voci diverse, autentiche, non ne possiamo più di vini perfetti e storie con il prezzo dell’etichetta ancora parzialmente attaccato. Per quello c’è già un’offerta sconfinata di bevande che scalpita. Vogliamo vini capaci di sorprenderci nel bicchiere, di farci divertire, di stimolare discussioni, divisioni e incazzature. Vogliamo sentire un senso d’attaccamento a un luogo, a uno stato d’animo, a un preciso momento nel tempo. A fine serata, contiamo più bottiglie vuote che commensali. L’eccesso ogni tanto fa parte di questo mondo, basta saperlo dosare a piccoli sorsi. Ci salutiamo con il pensiero di conoscerci un pochino di più. Con i vini dealcolati non sarebbe successo.
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