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Vi racconto perché il Gin e il Gin Tonic sono al centro della vita di un bar (e di un barman)

Cinzia Ferro, barladyCinzia Ferro, barladyCinzia Ferro, barlady

Cinzia Ferro, gestisce con suo marito Stefano Chiodoni – appassionato ed esperto di vino – l’Estremadura Cafè e (accanto)  l’Antica Osteria il Monterosso a Suna, piccola frazione di Verbania proprio fronte lago, mentre a pochi chilometri da lì gestisce l’enoteca Vini e Affini che a partire da questo inverno ospiterà masterclass, corsi e incontri dedicati alla miscelazione e alla degustazione.

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Cinzia ha vinto tanti premi e ha ottenuto tanti riconoscimenti a livello sia italiano che internazionale. Quelli cui è più legata sono: Miscelazione Futurista dove è arrivata prima (e prima donna) nel 2015 vincendo un viaggio per il Tales of the Cocktails di New Orleans; Lady Amarena, contest sponsorizzato da Fabbri e dedicato alle donne bartender; Workclass a Roma che l’ha vista nel 2016 prima finalista donna in Italia.

Cinzia Ferro barlady di Verbania

Parliamo di Gin Tonic: è davvero morto?
Se non lo è del tutto, è sicuramente a grande rischio di soffocamento. Le troppe etichette, a volte anche dubbie e dalla strana identità, rischiano di svuotare di senso un drink super classico che è da una parte molto aromatico ma anche molto semplice. Le complicazioni rischiano di creare caos, dubbi, confusione in un pubblico magari non perfettamente preparato nella conoscenza di un prodotto, il Gin, che da noi ha una diffusione così di massa solo da poco tempo.

Che Gin Tonic si prepara Cinzia a fine serata?
Classicissimo: con Beefeter o Bombay. Un grande classico con uno storico London Dry e una buona tonica. Poi aggiungo per mio sfizio la scorzetta di limone. Se lo bevo è perché voglio sia aromaticità che freschezza e trovo entrambe in un prodotto di questo tipo.

Cosa è il Gin per te?
Per me è classicità: il London Dry. Ci sono alcuni gin realizzati anche con botaniche innovative che sono ottimi prodotti; ce ne sono altri che invece trovo esasperati. Saranno anche ottimi distillati, ma sinceramente faccio fatica a chiamarli Gin.

Quanti Gin hai nel tuo locale?
Ne ho una novantina, in lista. Poi ci sono i satelliti che come meteore entrano e vanno… Io devo cercare di accontentare la mia clientela, cercando certamente di mantenere un livello alto a livello di qualità. Se ci sono prodotti che io ritengo scarsi, sicuramente non entrano in carta. Però è indubbio che la gente vuole vedere tante etichette e io devo averle.

Ma perché, con tutto il successo del Gin, il Gin Tonic è morto?
Diciamo che in parte va a morire. Possiamo anche chiamare questo fenomeno evoluzione, ma il Gin Tonic (e anche il Gin) diventano un’altra cosa. Il classico lascia il posto a un drink nuovo che ha altre caratteristiche e che dovrebbe avere un altro nome. Quindi, non saprei dire se si tratti di una evoluzione o di una morte: sicuramente è un cambiamento.

Perché il Gin è così importante nel mondo della miscelazione?
Sicuramente è un prodotto che fa la gran parte del fatturato, ovunque: basta osservare qualche bancone e qualche barman al lavoro per assaporare questa tendenza. È un distillato che riesce a incontrare il gusto della maggior parte delle persone: lo bevono le signore e anche i signori. Ha una facilità di gusto eccezionale, è amato da tutti. Se parliamo di Tequila, per esempio, dobbiamo fare i conti con un gusto molto molto più difficile e particolare. Per la Grappa ancora di più, malgrado la Grappa io riesco a venderla bene, anche in miscelazione e pure proponendola alle signore. Ma è difficile che un cliente scelga di primo acchitto un drink a base grappa. Viene visto ancora come un fine pasto da maschietto. E comunque ha un sapore difficile.

E la Vodka?
Anche la Vodka è molto semplice, ma non ha quelle sfumature e quegli aromi legati al ginepro che rendono il Gin intrigante e affascinante. Nonostante ci siano delle splendide Vodka, anche con aromatizzazioni particolari e suggestive, questo spirit non ha mai avuto il successo che ha il Gin. E poi, certamente, quando comincia a delinearsi una moda, si scatena il mondo. E molte aziende sono state bravissime a cavalcare la tendenza, così il gioco è fatto.

È importante solo il gusto, nel costruire la tendenza?
No, certo. Il packaging e il design hanno la loro importanza. Penso a Engine di Paolo Della Mora: è un prodotto ottimo, con botaniche giuste e biologiche e ha anche giocato tantissimo sul packaging con una lattina simile a quelle di olio per motori. Ha puntato tantissimo sul marketing con un prodotto ottimo: una mossa perfetta.

Ma perché fa così status il Gin?
Vero, fa status. Non è un caso se diversi produttori di vino ci tengono ad avere anche i loro gin (e non tutti validi!). In molti ristoranti, anche stellati, a fine pasto spesso si propone un Gin Tonic: è una questione di trend, ma è anche una questione di incontro perfetto con il palato che chiude in bellezza, appagato.

Quindi il Gin Tonic sopravvive? Parafrasiamo l’esclamazione della Corona inglese “Il Gin è morto, viva il Gin”?
Tendenzialmente, gli chef e i sommelier di cui parlavo sono solitamente molto, molto attenti a selezionare grandi prodotti, London Dry, e di elevata qualità. Lo faccio anche io, nel mio ristorante. C’è dunque, se vuoi, una sorta di mission che punta a salvare proprio questo grande e semplicissimo classico, fresco e aromatico, dalla morte per troppa facoltà di scelta e per un dilagare di etichette molto dubbie e poco in linea con la storia del Gin.

 

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Scritto da Gambero Rosso

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