L’origine dei budini
Il termine potrebbe derivare dal latino botellus, salsiccia, da cui con buone probabilità si è arrivati al francese boudin: in effetti, in origine i budini erano ben diversi da come li immaginiamo oggi. Si trattava, infatti, di impasti preparati nel budello di un animale, avvolto poi in un telo e messo in uno stampo, infine fatto bollire. Non si sa con precisione quale sia stato il primo budino della storia, ma quel che è certo è che già in epoca romana si usava questa tecnica per cucinare altro insieme al piatto principale, preparando tutto in un unico recipiente. Nel volume del Trecento “Il Ménagier de Paris” si possono leggere le ricette per il boudin blanc di salsiccia e il boudin noir, una specie di sanguinaccio; le prime preparazioni simili a quelle attuali iniziano a comparire solo nel Settecento, quando creme cotte e mousse diventano diffuse sulle tavole dei ceti più abbienti. Serviti nelle coppe o sul piatto, i budini rientrano oggi nella macro-categoria dei dolci al cucchiaio, che comprende molte tipologie di dessert: in qualsiasi caso, l’abitudine di servire dolci da mangiare con il cucchiaio era già diffusa al tempo di Alessandro il Grande, quando si consumavano coppe di neve fresca e frutta, antenate dei moderni sorbetti.
I budini e la gelatina
Morbidi, gelatinosi, talvolta trasparenti e ripieni di frutta, al cioccolato, farciti o cosparsi di zucchero da caramellare: la tradizione dei budini è ampia e variegata, e abbraccia moltissime culture gastronomiche. Elemento fondamentale per preparare alcuni tipi di budini è la gelatina: un tempo si utilizzava un brodo di ossa, concentrato e fatto freddare, oggi invece si utilizzano dei sottili fogli essiccati, da ammollare in acqua e aggiungere alle preparazioni, o fiocchi da aggiungere a caldo nei composti. La gelatina comincia a essere impiegata in cucina a partire dal II secolo d. C., e diventa onnipresente nei ricettari rinascimentali delle classi aristocratiche perché considerata un bene di lusso. Col tempo si è poi trasformata in un prodotto alla portata di tutti, tanto da rappresentare una delle principali derrate di cui fare scorta durante le guerre napoleoniche dell’Ottocento e durante la guerra d’Algeria del 1830, perché ricca di proteine. Per realizzarla, infatti, occorre il collagene degli animali, in particolare quello dei tessuti connettivi e delle ossa di suini, bovini e, in passato, anche delle lische dei pesci (è conosciuta, infatti, anche come “colla di pesce”, per via di un’antica procedura originaria della Russia, dove la gelatina veniva fatta con la vescica natatoria dello storione). Ma ci sono anche altri prodotti che hanno un potere gelificante e addensante, come per esempio l’agar agar, che deriva da un’alga rossa, la gomma xantana, e anche l’amido di mais.
I 10 budini più famosi
Sono moltissimi i budini della pasticceria internazionale: qui abbiamo cercato di radunare 10 dei più celebri e diffusi. Forse non rientrano tutti tecnicamente nella categoria, ma si tratta comunque di preparazioni dolci, morbide ma compatte (dunque: no creme lente e no mousse).
Aspic
Il termine indica una pietanza fredda composta da carne, pesce o verdura racchiusi in un involucro di gelatina, che in francese significa “aspide” (il nome è probabilmente legato alla forma degli stampi di una volta, che ricorda quella di un serpente arrotolato). Inventore ufficiale della ricetta è lo chef di Napoleone, Marie-Antoine Carême, che la annovera fra gli chaud-froids (letteralmente “caldo-freddo”), delle preparazioni cucinate calde ma servite fredde. Scenografico e vistoso, l’aspic è stato uno dei piatti cult degli anni ’80 e inizio ’90, spesso nella variante dolce alla frutta. Prepararlo è semplice, basta solo avere un po’ di pazienza e attendere i tempi di addensamento della gelatina: punto forte del piatto è la trasparenza che permette di intravedere gli ingredienti all’interno e creare così effetti colorati e originali.
Bavarese
Non lasciatevi fuorviare dal nome: la bavarese non è nata in Germania ma nella Francia dell’Ottocento, da dove si è poi diffusa negli altri Paesi grazie alla bravura e la fama dei maestri pasticceri d’Oltralpe. Un dolce ricco a base di latte, zucchero, uova, panna fresca e gelatina, ispirato alla crema inglese – preparazione dagli ingredienti molto simili – ma più denso e simile a un budino. Bianca nella versione classica, può essere anche preparata con il cioccolato, le fragole o altra frutta di stagione.
Biancomangiare
Con questo termine oggi si pensa immediatamente a un dessert a base di mandorle, ma durante il Medioevo il biancomangiare era semplicemente un piatto di colore bianco, sia dolce che salato, destinato ai ceti più abbienti. Per prepararlo erano necessari ingredienti come latte, mandorle, riso, ma anche lardo o petto di pollo. Plausibile la teoria secondo cui la ricetta sarebbe nata in Francia con il nome di blanc manger, ma oggi è uno dei vanti della cucina italiana, particolarmente legato alla Sicilia, la Sardegna e la Valle d’Aosta. Ne parla anche Pellegrino Artusi, che indica le seguenti dosi: “Mandorle dolci con tre amare, grammi 150. Zucchero in polvere, grammi 150. Colla di pesce in fogli, grammi 20. Panna, o fior di latte, mezzo bicchiere a buona misura. Acqua, un bicchiere e mezzo. Acqua di fior d’arancio, due cucchiaiate”.
Bonèt
La pasticceria piemontese è sontuosa e raffinata, e il bonèt non fa eccezione. Una versione primordiale di questo budino al cioccolato veniva preparata (senza cacao) tra le Langhe e il Monferrato già nel Medioevo come portata finale dei banchetti più sfarzosi. Latte, uova, amaretti e zucchero erano gli ingredienti principali a quel tempo: è solo nel Settecento che il bonèt inizia a essere prodotto con il cioccolato, trasformandosi nel dessert godurioso che tutti conosciamo. Il nome deriva dal cappello tondeggiante che ricorda la forma dello stampo in cui veniva preparato, detto “bonèt ed cusin”, ovvero “cappello da cucina”.
Crème brulée
Forse non è proprio un budino, ma la consistenza di questa crema densa è molto simile: la prima ricetta scritta nei libri di cucina francese compare nel 1691 nel volume “Cuisinier royal et bourgeois” dello chef François Massialot, che cita una preparazione un po’ diversa, con un disco caramellato aggiunto alla fine in superficie. Il successo del dolce – consacrato anche dal film “Il favoloso mondo di Amélie” – è diventato col tempo sempre più internazionale, raggiungendo un po’ tutto il mondo, a cominciare dall’America, dove venne addirittura servito da Thomas Jefferson alla Casa Bianca. Negli anni ’50 e ’60 era immancabile nelle riviste di cucina e ricettari statunitensi, ma il vero boom ci fu dopo che uno dei più famosi e raffinati ristoranti di New York, Le Cirque, lo inserì nel proprio menu. La crema bruciata ha iniziato così a fare il giro dell’America, fino a diventare un vero trend, dando vita a gelati, donuts, cupcakes e dolci di ogni tipo “al gusto di crème brulée”. Il punto di forza? La crosticina superiore fatta con zucchero bruciato con l’aiuto di un cannello.
Crema catalana
Simile, ma dalla storia ben diversa, è la ricetta della crema catalana spagnola. Secondo la leggenda furono le monache catalane a inventarla in occasione della visita del vescovo: in origine doveva essere un budino, ma il risultato era troppo liquido e così cosparsero dello zucchero caramellato caldo in superficie per camuffare l’errore. A differenza della preparazione francese, la crema catalana si caratterizza per la presenza della cannella e si prepara con solo latte, senza aggiunta di panna; il dessert spagnolo, infine, viene cotto in un pentolino mentre la crème brulée in forno a bagnomaria.
Crème caramel
Anche in questo caso non ci sono particolari informazioni circa l’origine del dessert: del resto, già greci e romani consumavano abitualmente dolcetti fatti con uova e latte, dalla consistenza densa e compatta. Rintracciarne la nascita esatta, quindi, non è facile: le pietanze si sono evolute nel tempo a seconda delle tradizioni locali e i cambiamenti sociali, e mai come nel caso del crème caramel i pareri sono contrastanti. Molti ritengono si tratti di una specialità portoghese, ma il nome francese potrebbe suggerire altre origini: in qualsiasi caso, stiamo parlando di un dolce goloso fatto con uova, latte e zucchero, senza utilizzo di gelatina o altri addensati. Il tutto ricoperto da delizioso caramello. Cugino emiliano del dolce è il fiordilatte bolognese, preparazione di antiche origini nata probabilmente per conservare latte e uova prima dell’invenzione del frigorifero. Una ricetta appartenente, quindi, alla cultura contadina, dagli ingredienti e il procedimento pressoché identici a quelli del crème caramel.
Flan
Nella versione dolce o salata, i flan francesi sono preparazioni versatili e adatte a ogni occasione. In pasticceria si realizzano solitamente con latte, uova e vaniglia, mentre il comparto salato propone più varianti. Morbidi e compatti, questi sformatini sono infatti ideali da servire a fine pasto oppure, se fatti con verdure o formaggi, come sfizioso aperitivo. Evoluzione dolce ancora più golosa è quella del flan parisienne, un guscio di fragrante pasta sfoglia che racchiude l’impasto di latte e uova, messo in forno a compattare.
Panna cotta
Altro simbolo della cucina anni ’80, fine pasto perfetto dopo una cena in pizzeria, la panna cotta è uno dei dolci più diffusi in Italia. Golosa e candida, la si può gustare in purezza o arricchita con sciroppi, glasse, frutta o cioccolato. Non ci sono molte fonti circa la sua nascita, ma si tratta di un dolce tradizionale piemontese, secondo i racconti popolari nato a inizio Novecento grazie a una signora ungherese residente nelle Langhe. Bisogna attendere gli anni ’60 prima che lo chef Ettore Songia metta per la prima volta la ricetta nero su bianco la ricetta. Storia e aneddoti a parte, la panna cotta è un dessert semplice a prova di dilettante: veloce e pratico, può essere impreziosito con ingredienti diversi a seconda dei gusti personali, servito in unico stampo da tagliare a fette oppure in tante piccole monoporzioni.
Pudding
Con il termine pudding in inglese ci si riferisce a molte preparazioni: tortini di pane e crema oppure budini più morbidi e gelatinosi. Pietanze dalla storia antica: la prima comparsa della ricetta nella letteratura europea risale addirittura all’800 a.C. con l’Odissea di Omero, ma secondo gli storici della gastronomia britannica la pietanza ha fatto sempre parte dell’alimentazione degli inglesi. Nel tempo hanno vissuto momenti di grande fortuna: per esempio nel Medioevo, quando i banchetti si fecero più sfarzosi, i pudding cominciarono a essere molto comuni tra le tavole nobiliari, tanto che nel 1407 per l’insediamento del vescovo Clifford venne preparata una gelatina a forma di castello, con un diavolo e un prete al centro di un fossato di crema. I pudding continuarono nel tempo a farsi conoscere per tutto il Paese.
La ricetta dell’aspic ai frutti di bosco
Ingredienti
350 g di frutti di bosco
100 g di zucchero
150 g di Porto
350 g d’acqua
6 g di gelatina in fogli
1 baccello di vaniglia
Scorze di limone
Fate ammollare la gelatina in acqua fredda. Raccogliete lo zucchero in una casseruolina con 300 grammi d’acqua, due belle scorze di limone e il baccello di vaniglia diviso in due longitudinalmente. Fate bollire per qualche minuto quindi ritirate lo sciroppo dal fuoco, unitevi la gelatina ben strizzata e mescolate fino a quando è completamente sciolta e ben distribuita. Lasciate intiepidire quindi filtrate lo sciroppo e unitevi il Porto. Riempite 4 piccoli stampi con i frutti di bosco e versatevi la gelatina fredda ma ancora liquida. Fate rassodare in frigorifero per almeno 6 ore. Al momento di servire tuffate gli stampini per un attimo in acqua bollente, asciugateli e rovesciateli sui piatti. Potete completare il dessert con una pallina di gelato.
La ricetta della crème brulée
La ricetta della panna cotta
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