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L’ultimo palazzo nobiliare romano risale alla fine dell’800 e si deve a un’americana milionaria, Mary Elisabeth Field, dama di Palazzo della Regina e punta di diamante della vita mondana dell’epoca, che arrivò a Roma carica di soldi, dote succulenta per il suo sposo Salvatore Brancaccio, principe, duca, marchese e patrizio napoletano. Un ventaglio di titoli che – messi insieme al milione di dollari portato dalla sua consorte – diedero slancio a un ultimo afflato di vita di corte, in un’Italia che si avviava a conquistare l’assetto attuale. Il Palazzo infatti, che ovviamente si chiama Brancaccio, fu costruito per dare una degna dimora alla coppia nella nuova capitale del regno d’Italia. Oggi, di quella vita di corte rimangono tracce permanenti nei palazzi di cui è disseminato il nostro paese, di cui non di rado si può godere, pur non avendo sangue blu da mostrare all’entrata. A volte basta un biglietto, altre nemmeno quello.
Prova ne sia proprio Palazzo Brancaccio che – dismesse 5 anni fa le vesti di Museo d’Arte Orientale avute sin dagli anni ’50 – conserva la destinazione d’uso di magnifico spazio espositivo. Da un paio di anni, il primo piano del palazzo ospita lo Spazio Fields – che omaggia Mary Elisabeth Field, la principessa americana che ha voluto il palazzo – che dopo lo stop & go dovuto alla pandemia si presenta in queste ore nella veste di centro multiculturale, in cui si mescolano arte, architettura, musica, design, eventi culturali, aziendali e privati, ma anche area dedicata al food&beverage, con un ristorante e cocktail ba funzionanti a pranzo e cena.
Roland e lo Spazio Field di Palazzo Brancaccio
A firmare l’intero progetto, Andrea Azzarone, imprenditore romano già operativo nel mondo della ristorazione con una manciata di outlet in alcuni degli spazi dell’arte capitolina: il ristorante Esposizioni del Palazzo delle Esposizioni, la terrazza Caffarelli dei Musei Capitolini, Entr’acte della galleria Rhinoceros e di altri punti ristoro nei luoghi di attrazione della città. Stavolta, però, è diverso, perché è lui a gestire in prima persona tutto, inclusa la parte dedicata alla cultura e all’arte, con un regolare calendario espositivo: “È lo spazio di questo genere più grande al centro di Roma, un posto camaleontico che cambia secondo esigenza” illustra Azzarone “2700 metri quadrati coperti, tra Spazio Field e Saloni”. I Saloni sono quelli del primo piano, con affreschi, specchi antichi, monumentali calendari d’epoca, disponibili per eventi di natura diversa. “Quando è capitata l’occasione di aprire questo polo nell’ex museo e unirlo ai Saloni di Palazzo Brancaccio, abbiamo deciso di mettere anche il punto ristoro”.
Lo hanno chiamato Roland, “in onore a Rolando Brancaccio, il nipote di Elisabeth e Salvatore, molto vicino al mondo delle arti”. L’idea – infatti – è che ci sia un flusso armonico tra le varie anime dello spazio, che vivono intersecandosi una nell’altra sotto i soffitti altissimi del palazzo. E non è un caso che occorra attraversare le sale espositive di Spazio Field per approdare a quelle di Roland, segnando un continuum tra l’una e l’altra. E fa sorridere che esposte in questi giorni che accompagnano l’inaugurazione del ristorante, ci siano le opere di Gioacchino Pontrelli, parente omonimo del cuoco di Lorenzo a Forte dei Marmi. A coordinare la cucina, Carlo Alberto D’Audino, chef calabro siciliano, alle spalle studi artistici prima di passare alla cucina, che annovera, dopo l’Alma, esperienze eterogenee, con la capacità di gestire fine dining come eventi da grandi numeri.
Cosa si mangia da Roland
Il ristorante (circa 40 i coperti) si muove su un doppio binario pranzo-cena, e vive in maniera autonoma rispetto alla galleria, con una proposta diurna molto easy: mozzarella, prosciutto e altri salumi, come suggerisce la Berkel nell’angolo, una gastronomia fredda e una cucina di prodotto e di classici da pausa pranzo che viaggia nei bei guéridon e sul bancone ricavato dalla vecchia vetrina della principessa. Cambio radicale per la cena, in cui Roland mostra in modo più deciso il suo carattere: “è parte integrante dello Spazio Field” fa D’Audino, “qui sei immerso nella cultura, ci passi attraverso, e spero che il ristorante faccia parte di questo percorso”. A tracciare le coordinate c’è la storia di questo luogo: spunti romani, piatti di ispirazione napoletan a e qualche afflato orientale a ricordare il Museo che prima occupava queste sale.
Così la pasta al burro di manteca e alici gioca con la mobilità ipnotica del katsuobushi, il secreto iberico cotto a bassa temperatura è laccato con la salsa teriyaki al sesamo e accompagnato da puntarelle alla romana, e così, di passaggio in passaggio (5 le opzioni di ogni portata, ma c’è anche un degustazione a 7 corse. Prezzo medio 70/80 euro) spuntano continui tocchi esotici, ma non solo, come nel carciofo alla giudìa con pecorino e saba. Classici i dolci, con cose come semifreddo al caffè o macedonia con gelato e meringa “procediamo step by step, per capire i gusti delle persone e del futuro cliente del Roland” spiega lo chef, per spiegare una partenza cauta, a tracciare un locale ricamato sugli ospiti, veri protagonisti dell’esperienza insieme alla magnifica struttura.
D’Audino si occupa anche del momento dell’aperitivo con una piccola carta che mescola ricordi e viaggi: croquetas di baccalà o di prosciutto e formaggio, tacos con coda alla vaccinara, tartare di tonno con guacamole di broccolo romano e una piccola selezione di ostriche.
Cosa si beve da Roland
La cantina, circa 400 etichette, punta sui grandi classici: c’è molta Italia dei grandi nomi, ma anche le più famose regioni vitivinicole internazionali, – Nuova Zelanda, Sud America – “in un palazzo storico come questo vogliamo inserire vini importanti, grandi classici più che cose irriverenti” spiega Azzarone che aggiunge: “non vogliamo strafare, è talmente bello il posto che non ci serve da forzare troppo sul ristorante: anche mangiare una verdura fresca e saltata in padella nel modo giusto”. Insieme alla carta dei vini, un’altra carta completa l’offerta del beverage, quella firmata da Andrea Roccini, una drink list che si muove anche qui con una combinazione di 5: signature, twist e qualche piccola variazione sul tema, “abbiamo fatto dei drink divertenti che rimangono sempre molto secchi” racconta “cercando di seguire la stessa impronta della cucina con riferimenti alla storia di questo posto, rimandi romani, partenopei e spunti orientali”.
C’è il Saltimbocca, con salvia, il Martini della nonna, con caffè di cicoria, tanti drink di un tempo che ormai in pochi propongono, come il bullshot con il consommè – il drink del giorno dopo – certi falsi Martini o un bloody mary dall’accento orientale, o ancora l’anisetta con acqua tonica, limone, sale e pepe. In armonia con la cucina, anche il bancone propone per il pranzo una carta più semplice e leggera perfetta per il giorno con una scelta di Bloody Mary.
Da gustare al bel bancone o nella sala attigua a quella del ristorante. Ma a breve ci sarà anche uno spazio esterno, cui si accede da una porta segreta (o superando l’ingresso principale): il Parco della Principessa, appena recuperato secondo quanto testimoniato da un quadro di Francesco Gai conservato a Palazzo Braschi. Occorre solo attendere: la primavera è vicina, e il primo marzo – giorno dell’apertura – è arrivato.
Roland di Spazio Field – Roma – via Merulana, 248 – 06 315709953 – www.spaziofield.com
a cura di Antonella De Santis
foto di F. Fioramonti
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