Meno stelle nel cielo della gastronomia italiana. Accecati dal bagliore tristellato di Casa Perbellini ai Dodici Apostoli di Verona, in pochi hanno notato la diminuzione complessiva dei ristoranti che possono vantare la placca rossa di Michelin. Erano 395 (13 tristellati, 40 bistellati, 342 monostella), sono 393 (14, 38, 341). Flessione lievissima, si dirà. Ma è la prima volta a nostra memoria che questo accade. Negli ultimi anni le stelle erano lentamente ma inesorabilmente cresciute edizione dopo edizione e quindi il dato non è da trascurare.
Stelle perdute
Considerando che 33 locali hanno guadagnato la stella, vuol dire che 35 l’hanno persa. Tra essi ci sono molti locali chiusi nell’ultimo anno, tra i quali ViVa di Viviana Varese, trasferitasi nel frattempo a Villa Passalacqua sul lago di Como (per il momento però senza onorificenze) e il Cannavacciuolo Bistrot di Novara. Ma a fare scalpore sono le retrocessioni di locali ancora attivi e soprattutto quella di Piccolo Lago a Mergozzo di chef Marco Sacco, precipitato da due a zero stelle, caso abbastanza insolito. Considerato il conservatorismo della rossa, Sacco deve avere indispettito in qualche modo gli ispettori. Scendono da due a una stella I Tre Olivi di Paestum con il nuovo manico di Oliver Glowig dopo l’addio di Giovanni Solofra e Gourmetstube Einhorn di Mules in Alto Adige.
Sono quindici invece i ristoranti che perdono l’unica stella. Detto che il declassamento del Giglio di Lucca era stato espressamente richiesto dai tre giovani cuochi che sentivano la stella come un freno alla loro creatività (ma continuiamo a pensare che vi si mangi meglio che in gran parte degli stellati confermati), fa scalpore il caso dell’Alchimia di Milano di chef Giuseppe Postorino, vanto gourmet (fino a oggi) del gruppo di ristoranti meneghini di Alberto Tasinato. Poi si ingrigiscono anche Gardenia di Caluso, Già Sotto l’Arco di Carovigno, La Capanna di Eraclio di Codigoro, La Madernassa di Guarene mai ripresasi dall’addio di Michelangelo Mammoliti, Bolle di Lallio, La Tavola di Laveno Mombello, Palazzo Petrucci di Napoli (altra sorpresa), Rear Restaurant di Nola, Tantris a Novara, Gagini a Palermo, La Serra a Positano, Umberto Di Martino a San Paolo d’Argan e Ristorante 1908 a Soprabolzano.
Chi ce l’ha fatta
Sono sopravvissuti invece al cambio di location Claudio Melis in Viaggio (da Bolzano a Merano), Materia sempre a Cernobbio, Atman da Lamporecchio a Vinci e Coria da Caltagirone a Catania. E al turn over dello chef Nove ad Alassio, Maebu ad Ariano Irpino, Le Monzù a Capri, Pashà a Conversano, Vite a Lancenigo, Relais Blu a Massa Lubrense, Veritas a Napoli, Vespasia a Perugia, La Speranzina a Sirmione, il Cannavacciuolo Bistrot di Torino, Oro di Venezia, José a Torre del Greco e Aalto a Milano, che ha ben digerito anche il cambio di insegna e di format: ora è Iyo Kaiseki.
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