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“Vi raccontiamo come aprire un ristorante a Copenaghen”. La storia di Lucia De Luca e Valerio Serino

Valerio Serino e Lucia De Luca di Terra a CopenaghenValerio Serino e Lucia De Luca di Terra a Copenaghen

Uno dei ristoranti più interessanti di Copenaghen non è in nessuna guida gastronomica della Danimarca. Al di là dei misteri delle guide – chi è senza peccato scagli la prima pietra – Tèrra è un indirizzo che merita di essere raccontato, vuoi per spirito di patriottismo (dietro al progetto ci sono due italiani), vuoi perché rappresenta effettivamente un unicum in città.

L’accoglienza di Copenaghen

«Nel 2014 abbiamo inaugurato Il Mattarello, un banco al mercato coperto di Torvehallerne focalizzato sulla pasta fresca», racconta Valerio Serino, compagno di vita e socio di Lucia De Luca. «Copenaghen è una città nella quale se sei giovane e hai un sogno, lo puoi concretizzare abbastanza agilmente, ti dà la possibilità di mettere in piedi un’azienda in poco tempo», spiega Lucia. «All’inizio siamo stati accolti molto bene – ricordano – i clienti erano ben disposti a farsi guidare, anche quando si trattava di approcciare per la prima volta alla pasta al dente. Nel periodo subito dopo il lockdown ci è venuto a trovare pure René Redzepi che si è reso disponibile, ha fatto anche un post taggando il pastificio, ce ne siamo accorti perché a un certo punto ci hanno iniziato a seguire (nella pagina Instagram, ndr) un bel po’ di persone. Un po’ meno di calore, invece, lo abbiamo percepito quando abbiamo deciso di aprire Tèrra».

Pasta del Mattarello a Copenaghen

Gli chef italiani all’estero

È il 2017 quando Valerio e Lucia decidono di alzare l’asticella e di giocare nello stesso campionato dei fine dining di Copenaghen con un ristorante che li rispecchiasse, senza nessun investitore locale (in città sono molti i ristoranti con alle spalle grandi investitori danesi), senza proporre una cucina italiana stereotipata. «Volevamo rappresentare la nuova cucina italiana, citando Laura Lazzaroni che ha scritto un libro sul tema, e questo messaggio è stato difficile da far passare: se sei uno chef italiano all’estero, i clienti si aspettano di mangiare piatti tipici italiani. Noi li abbiamo destabilizzati con un tipo di cucina che sentono come loro e basta, ma che in realtà rappresenta anche noi italiani». Ovvero una cucina che racconta il territorio, in questo caso nordico, sì, ma con sensibilità italiana, o quanto meno personale, che rispecchia il vissuto e i ricordi dell’artefice, ovvero Valerio. «Per noi era, è “nuova cucina italiana” ma ai loro occhi li stavamo scopiazzando», riconoscono i due, che sono stati oggetto di un’aspra critica da parte di un famoso critico gastronomico danese, il quale li ha accusati di proporre un menu “patchwork” con diversi elementi dei ristoranti, di investitori danesi, Alchemist, Noma e Kadeau.

Taco di sedano rapa di Terra a Copenaghen

Taco di sedano rapa

Perché Tèrra è un ristorante italiano

A questo punto sorge spontanea una domanda: cosa caratterizza la cucina italiana agli occhi dello straniero? Bastano un piatto, un ingrediente, un cognome nostrani per trasformare un ristorante in un ristorante italiano? Non crediamo. E non è neppure sufficiente proporre piatti di tradizione o usare solo materia prima italiana in presenza di prodotti locali altrettanto validi. Cosa rende, dunque, Tèrra un ristorante italiano e non semplicemente un ristorante fine dining di Copenaghen? «Essere ristoratori italiani in Danimarca vuol dire raccontare un paesaggio che ha ingredienti diversi e nuovi per via delle temperature e del clima. Da Tèrra abbiamo voluto elogiare questo paesaggio, utilizzando massimo tre ingredienti in un piatto. Questa apparente semplicità è forse ciò che ci lega all’Italia e al concetto di italianità». Sono lontani dal racconto banale fatto di ricette della nonna, ma al tempo stesso lavorano su principi che le nonne hanno insegnato: «Rispetto dell’ingrediente, stagionalità, recupero degli scarti legato al concetto del “non si butta niente”. Da qui deriva una ricerca basata sul recupero di parti meno nobili degli ingredienti attraverso tecniche innovative. Poi c’è la accoglienza: italiani vuol dire accogliere, coccolare e saper rendere felici gli ospiti, senza mai farli sentire tali».

Cedro e rana pescatrice di Terra a Copenaghen

Cedro e rana pescatrice

Stranieri per sempre

Le cose sono cambiate con gli anni? «Uno straniero che investe in America si integra e diventa americano (almeno per ora!), a Copenaghen potrai avere anche un grande successo ma rimarrai sempre uno straniero. Ti percepiranno sempre come uno straniero. È cambiato Tèrra, abbiamo voluto rendere l’esperienza più intima: in cucina ci sono Valerio e un altro cuoco, in sala ci sono solo io», fa Lucia. «E, come all’inizio, abbiamo perlopiù clienti stranieri. Questo dato è abbastanza diffuso: i danesi non mangiano spesso fuori al ristorante e forse è anche per questo che a investire sulla gastronomia è stato l’ente del turismo», ipotizza. Parlando di “attrattività” della città, tanto ha fatto il Noma che sembrerebbe non chiudere: «Non chiude, e menomale perché tanti clienti del Noma arrivano da noi di riflesso nonostante non siamo presenti in nessuna guida gastronomica locale». La stella verde (da Tèrra si applica con cognizione la filosofia zero sprechi) non funziona da sola? «In parte sì, quantomeno i clienti si sentono in un certo qual modo sentiti rassicurati dalla presenza in una guida conosciuta e di stampo internazionale».

Percepiamo emozioni contrastanti. Da una parte la gratitudine nei confronti del paese che li ha accolti e in un certo senso ha facilitato l’impresa, ci riferiamo all’aspetto burocratico della questione, dall’altra il non sentirsi compresi a fondo legato a doppia mandata con la nostalgia per l’Italia. Chissà se ritorneranno mai qui.

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