C’è un salotto buono, nel centro di Milano, con una lunga storia. È quella che si dipana vicino al Teatro alla Scala (li dividono 674 passi appena) animata dall’eco ancora vivida dei divi di un tempo. Tutto comincia 160 anni fa, quando il Grand Hotel et de Milan apre i battenti. La posizione è strategica e diventa immediatamente il punto di ritrovo del bel mondo dell’epoca che qui soggiornava e sempre qui si dava appuntamento dopo la prima. Un indirizzo simbolico, per una certa Milano. Il trascorrere del tempo ha visto il passaggio della storia e l’evolversi di una società in rapida trasformazione, ma l’albergo non ha mai perso la sua allure.
Oggi è in mano alla terza generazione della famiglia Bertazzoni, impegnata a preservarne il ruolo in città riuscendo a proiettare la sua storia nel presente. Ha cominciato un anno fa, con il rilancio del ristorante Caruso Nuovo, dopo un restyling filologico e il coinvolgimento di Gennaro Esposito, maestro e mentore di Francesco Potenza che sotto la Madonnina realizza un melting pot meneghin-campano con spirito contemporaneo di grande piacevolezza.
Cosa si mangia al Don Carlos
Passati i dovuti tempi di rodaggio si completa l’opera con un secondo ristoranti. Se lì la dedica è al grande tenore che nel Grand Hotel et de Milan ha soggiornato – stanza 306 – qui il riferimento è all’opera di Giuseppe Verdi che vi abitò per quasi 30 anni, nell’appartamento 108, oggi stanza 105. Si chiama infatti Don Carlos il locale che torna rinnovato al suo pubblico. E lo fa senza derogare da quel classicismo che lo caratterizza, anzi evidenziandone l’indole aristocratica e il fascino d’antan. Quel che promette, infatti, è un tuffo nella storia, che di questi tempi, però, si avvicina moltissimo a un certo ritorno (modernissimo) del classicismo.
Tradotto nel linguaggio della ristorazione significa piatti italianissimi ma spesso trascurati come la sogliola alla mugnaia (€42), ispirazioni territoriali (casoncelli, €30), suggestioni fané (gli spaghetti meatball – omaggio a Caruso, €30), tecnicismi d’alta scuola (Pithivier di agnello, €34), raffinatezze d’altri tempi (sformatino di bucatini, €34): tutto un corredo di piatti da riscoprire ma soprattutto un servizio in sala dove il virtuosismo del gesto conquista la scena. C’è il gueridon (anche per il cioccolato in chiusura di pasto), ci sono le finiture dei piatti al tavolo, come per i famosi spaghetti con le polpette, serviti con la forchetta dai lembi larghi creata per il maestro Enrico Caruso. E poi il rito scenografico dell’assenzio che chiude il menu degustazione Dedica al Maestro (5 piatti, 120 euro).
Una ritualità che fino a qualche tempo fa pareva scomparsa e che racconta oggi una nuova storia. A fare da richiamo fortissimo al contesto sono i candelabri d’argento e soprattutto i bozzetti di opere teatrali e liriche che richiamano il forte legame con il Teatro alla Scala che torna anche in un menu diviso in atti, dove i piatti ispirati alle opere liriche. E poi la cantina, ricavata tra le rovine di un antico muro romano risalente al 250 d.C.
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