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Boriosi: “Ha ragione Boralevi, mai bere da sole (specie se stai alla Rai: potrebbe arrivare uno chef a stordirti)”

Ho ascoltato con attenzione la puntata di TG2 Post andata in onda su Rai2; al tavolo di Luciano Ghelfi, gran cerimoniere del costume nazionale, intervengono Giorgio Calabrese, il sommelier Alessandro Scorsone, Maurizio Danese amministratore delegato di Veronafiere, e la quota rosa Antonella Boralevi. Nei social sta destando clamore il modo in cui il tema – il vino come fenomeno culturale e sociale da estendere anche alle donne – sia stato trattato.

Smettetela di indignarvi, utenti della tv nazionale e pornografi dei trend social; guardate che Ghelfi e i suoi ospiti hanno ragione da vendere! Io ne sono l’archetipo, il prototipo base su cui imbastire il filo logico dei ragionamenti espressi nei pochi minuti in onda. A partire dal fatto che il cognome che porto (Boriosi, ndr) denota intrinsecamente una necessità atavica nella ricerca di attenzione dovuta a carenze di autostima. Credo sia questa la leva che mi ha portato a devolvere la vita epatica alla causa; come tutte le donne, subisco una forte pressione dall’universo maschile che sono costretta ad ammirare da lontano, soggiogata da quel senso di inadeguatezza e sfiducia delle mie capacità.

Metter su un’enoteca (con gli uomini)

È questo il motivo che mi ha spinta ad aprire una enoteca (con soci maschi, però, in modo da tenere sempre sotto controllo quel livello di disistima che l’alcol potrebbe levigare, dal momento che il metodo sigarette ha fallito miseramente da quando sono state introdotte le Iqos all’odor di flatulenza); è arrivato un momento, nella mia vita, in cui dovevo decidere se investire quattrini che non ho in anni di terapia, oppure capitalizzare la necessità di ricevere attenzione dal bonario sguardo virile e mettere su una bottega che vende e mesce vino.

Sento di dar ragione a Luciano Ghelfi quando dice che un tempo il vino era roba da uomini, perché è piena la letteratura della figura del simpatico ubriacone bonario e saggio, mentre la cinematografia contemporanea – cioè quando le donne hanno smesso la sigaretta da maliarda – ha come archetipo la povera Sue Ellen Ewyng da collocare nell’olimpo di noi piccole fiammiferaie dell’abominio: Sue Ellen primo glorioso personaggio di una lunga serie di donne dedite all’alcol come espiazione all’appartenenza al proprio genere. Io che sono dietro al bancone e osservo l’umanità bevente, posso dirlo a ragion veduta.

Solitudini e gatti

Boralevi, che è donna come me, sa cosa dice mentre insiste che noi donne ce la caviamo quando siamo riunite nelle varie associazioni come graziosi panda da salvaguardare; perché noi donne, prese singolarmente, soffriamo di solitudine e gatti consolatori e se ci concediamo qualche bicchieretto, l’alcol va tutto lì, in mezzo alle gambe, dove gli chef delle trasmissioni della vicina Rai1 cercano (sperano?) di arrivare dopo averci offerto la sostanziosa bevuta.

Gli uomini avranno anche più catalasi per sintetizzare l’alcol, ma noi donne sappiamo trasformarlo in cellulite, e mai, mai, mai e dico mai bere da sole. Io, per esempio, preferisco bere con le benzodiazepine. Guardate che quei giornalisti hanno detto il vero, e la riprova è che prima di loro, sono stati Elio e le Storie Tese ad aver affrontato il tema dedicandoci una canzone struggente e veritiera: L’Indianata.

ARTICOLO TERMINATO!

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Scritto da Gambero Rosso

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