Un normale tragitto casa-lavoro, finito in ospedale. È accaduto a Tea, una delle dipendenti del Pop, il locale Queer di Milano a Porta Venezia: la notte tra venerdì 22 e 23 novembre è stata aggredita insieme al suo compagno in zona Repubblica «da un branco di uomini di chiara appartenenza a gruppi di estrema destra» si legge sul post condiviso dal Pop. Il vero problema? Secondo la titolare Fedya Crespolini risiede nella pericolosità del quartiere, ormai invivibile: «Porta Venezia è stata abbandonata, le ultime ordinanze contro la movida sono andate a colpire i locali, abbiamo dovuto chiudere i dehors e questa è diventata una terra di nessuno, non c’è più gente in strada e nemmeno controlli» racconta al Gambero Rosso.
A Milano sopravvivono solo i “localari”
Un quartiere svuotato e una comunità rimasta sola, «anche il pride si è spostato in zona Sempione… tra l’altro, quello di Milano è l’unico pride che non cresce rispetto agli altri». È tanta la delusione di Fedya, milanese doc che però è si sente tradita dalla sua città: «La crisi a Milano è tanta, quasi tutti si stanno spostando verso l’hinterland, soprattutto i più giovani. Ci si viene solo per lavorare, poi si fugge via. A sopravvivere sono i “localari”, quelli che aprono posti alla moda, vanno alla grande per un paio di anni, poi chiudono e se ne vanno».
La clientela, al Pop, è diminuita nettamente «stiamo al 5o% in meno del fatturato». E il problema della sicurezza è uno dei motivi principali, «per me che faccio attivismo, poi, è davvero difficile da digerire. Spesso mi ritrovo ad accompagnare i clienti a casa, non si può percorrere la strada a piedi».
Il problema della sicurezza
Ma le amministrazioni cosa fanno per risolvere la situazione? «Abbiamo fatto degli incontri con il Comune di Milano in passato, la risposta era sempre la stessa, ovvero che non ci sono forze sufficienti per presiedere le zone. E così l’unico intervento che resta da fare è limitare la vita notturna dei locali, con conseguenze negative sia per noi che per i clienti». Eppure, qualche soluzione ci sarebbe, «se non ci sono gli agenti si possono chiamare i volontari, basterebbe un presidio dell’ambulanza, non devono essere necessariamente forze dell’ordine. Invece il Comune suggeriva di assumere della vigilanza privata».
Dal canto suo, Fedya cerca di organizzare taxi e passaggi in auto per tutti: «Di recente ho accettato per la prima volta di affittare il locale per un diciottesimo compleanno. L’ho fatto, però, a patto che i genitori venissero a prendere i ragazzi a fine serata. Due di loro le ho accompagnate personalmente a casa».
«Isolate ed esposte alla violenza»
Si esce se si ha la macchina, altrimenti è impossibile «e già poter fare una serata fuori oggi è un privilegio. Ormai abbiamo tutti un account Netflix, i modi per trascorrere del tempo in casa non mancano: considerando il costo della vita a Milano e i prezzi da capogiro nei locali, non c’è da stupirsi che i giovani escano sempre di meno». C’è rabbia, tanta rabbia contro le istituzioni, il comune di Milano e, come ha specificato nel post su Instagram, «anche contro alcune associazioni a cui da anni chiediamo supporto e che hanno fatto sì che negli ultimi anni questo quartiere non venisse tutelato e valorizzato per ciò che rappresenta». Al contrario, «siamo state isolate ed esposte alla violenza».
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