in

Ecco perché la Regina Margherita non c’entra niente con la pizza Margherita, anatomia di una fake news

Cosa ne sarebbe della pizza napoletana se togliessimo il pomodoro e la mozzarella? Proprio quelli che sembrano oggi ingredienti inseparabili quando parliamo di pizza. Ma le testimonianze ottocentesche ci raccontano di pizze ben diverse dalle attuali: condimento spesso di un solo un ingrediente e a base tendenzialmente bianca perché il pomodoro era usato solo fresco in estate. E così fu per la pizza destinata alla regina Margherita di Savoia quando fece visita alla città partenopea nel 1889. Nonostante il famoso documento esposto nella pizzeria Brandi che invece è posto a base del mito pizza-regina.

Pizza Margherita. Foto Lido Vannucchi

Le prime pizze napoletane

Ma come era la pizza in quegli anni? Uno dei primi testimoni oculari della pizza è il celebre romanziere Alexandre Dumas. La descrive durante il suo viaggio a Napoli del 1835: “La pizza è all’olio, la pizza è al lardo, la pizza è allo strutto, la pizza è al formaggio, la pizza è ai pomodori, la pizza è ai pesciolini”, farciture molto semplici e povere, adatte a tutte le tasche. Una ventina di anni dopo ne parla anche Emmanuele Rocco, esponente di primo piano della cultura partenopea nel periodo a cavallo dell’unificazione italiana. La sua descrizione è più puntuale ed entra nel dettaglio: “Le pizze più ordinarie, dette coll’aglio e oglio, han per condimento l’olio, e sopra vi si sparge, oltre il sale, l’origano e spicchi d’aglio trinciati minutamente. Altre sono coperte di formaggio grattugiato e condite collo strutto, e allora vi si pone disopra qualche foglia di basilico. Alle prime spesso si aggiunge del pesce minuto, alle seconde delle sottili fette di muzzarella. Talora si fa uso di prosciutto allettato, di pomidoro, di arselle ecc...”. Anche in questo caso le farciture predilette sono bianche e siamo ancora ben lontani dalla formazione di un’accoppiata vincente pomodoro-mozzarella.

Una pizza per la regina

Veniamo dunque al mito: la farcitura a base di pomodoro e mozzarella prende il nome di “Margherita” in onore alla Regina Margherita di Savoia, consorte di Re Umberto I e madre di Vittorio Emanuele III. Il legame della Regina con Napoli è sempre stato particolarmente intenso. Il citato documento del 1889 dice: “Sig. Raffaele Esposito Brandi Le confermo che le tre qualità di Pizze da Lei confezionate per Sua Maestà la Regina vennero trovate buonissime. Mi creda di Lei Devotissimo, Galli Camillo, Capo dei Servizi di Tavola della Real Casa”. Secondo la ricostruzione più accreditata, durante il soggiorno napoletano del 1889, la Regina Margherita convocò il proprietario della pizzeria Raffaele Esposito a Capodimonte per assaggiare la sua celebre pizza. In quell’occasione furono preparate tre pizze, una delle quali a base di pomodoro, mozzarella e basilico i cui colori erano un omaggio alla bandiera italiana e che la sovrana mostrò di gradire particolarmente. Il pizzaiolo non si lasciò sfuggire l’occasione e battezzò seduta stante la pizza con il nome di Margherita, facendo nascere una vera e propria leggenda della gastronomia. Delle altre due pizze non ci sono notizie certe, alcune voci parlano di una a base di strutto, formaggio e basilico, e una seconda pizza rossa alle acciughe, mentre altri sostengono che la prima fosse con olio, formaggio e basilico e la seconda con i cecenielli, ovvero il novellame delle sardine. Da allora la pizza pomodoro e mozzarella si sarebbe chiamata Margherita, fine della storia. O forse no.

Il “documento Brandi” ai raggi X

L’analisi testuale e formale della lettera esposta da Brandi è stata compiuta da Zachary Nowak, docente di storia ad Harvard e attuale direttore dell’Umbra Institute di Perugia che lo ha confrontato con altri documenti emessi dalla casa Reale negli stessi anni. Le incongruenze: differenze nei timbri ufficiali, nei protocolli e nell’uso di stemmi e carta intestata. Insomma, sembra proprio un fake.

Foto Lido Vannucchi

La storia si ripete…

Il documento che determina la nascita della pizza Margherita – dunque – è un falso? Difficile dirlo, ma una cosa è certa: questa è solo una piccola parte della storia perché qualcosa di simile era già successo ben nove anni prima. Stessa storia, con protagonisti leggermente diversi e con le preferenze della Regina che cadono su “cecinielli e gammarielli”, ovvero bianchetti e gamberetti. Niente Margherita!

Un testimone finora inascoltato

Esiste però almeno un testimone che avrebbe assistito alla vicenda e la riporta ben 50 anni più tardi. Si tratta di Amedeo Pettini: entrato giovanissimo nelle cucine reali, arrivò a ricoprire il ruolo di capocuoco di Casa Savoia. Parla nei suoi racconti dei soggiorni napoletani della Regina nel corso della seconda metà dell’800, ma non fa mai accenno alla pizza Margherita.

La fortuna della Margherita

La pizza Margherita, dunque, non è mai stata assaggiata dalla regina. Una farcitura a base di pomodoro e/o mozzarella era più o meno esistente a metà Ottocento, anche se non troppo comune: il punto è però capire chi l’abbia codificata e portata al successo. Visto che quella di casa Savoia è una… bufala (e non nel senso di mozzarella)! Per capire meglio, dobbiamo fare un salto al di là dell’Oceano, in America, dove erano sbarcati i pizzaioli italiani e la loro pizza tra la metà dell’800 e i primi decenni del ‘900, insieme alle masse di emigranti in fuga dalla povertà e in cerca di fortuna.

Foto Lido Vannucchi

La pizza preferita dagli americani

La prima notizia di una pizzeria negli Stati Uniti risale al 1894 e si limita a un nome e a un indirizzo: John Albani, 59½ di Mulberry Street, Manhattan. Da quel momento l’ascesa della pizza napoletana è inarrestabile, arrivando fino alla diffusione globale attuale. I pizzaioli d’Oltreoceano dovevano però risolvere un problema: come farcire la pizza? Gli stili tradizionali, con i pesciolini freschi e strutto, erano difficili da trovare e non erano amati in Usa. Andavano alla grande, invece, i condimenti usati per la pasta dagli immigrati: pomodori in scatola (che sostituiscono i freschi), formaggio e olio. La conserva in barattolo sostituì il pomodoro fresco e per i primi tempi la mozzarella passò il testimone a formaggi più stagionati. Vista la grande richiesta, anche negli Stati Uniti iniziò una produzione di pomodoro in scatola e soprattutto di formaggi freschi che non potevano essere importati via mare. Da quel momento la Margherita si avviò a diventare un vero e proprio simbolo della pizza italo-americana. È qui infatti che si salda il binomio pomodoro-mozzarella essendo gli ingredienti più facilmente identificabili come identitari e reperibili perché prodotti ormai su larga scala.

Dagli Usa al mondo

A partire dal Secondo Dopoguerra, quando è stato ridefinito lo scacchiere geopolitico mondiale, l’intera Europa è entrata nella sfera di influenza americana sotto molti punti di vista, incluso quello gastronomico. Uno degli effetti è stata la grande spinta all’apertura di pizzerie in tutto il Vecchio Continente, alcune esplicitamente a servizio delle truppe statunitensi di stanza all’estero. Il resto è sotto gli occhi (e sui piatti) di tutti noi…

“Storia della pizza. Da Napoli a Hollywood” di Luca Cesari

Il libro, edito da Il Saggiatore, viene presentato al Salone del Libro di Torino il 21 maggio 2023 alle ore 16 e 18.

N.B. L’articolo completo uscirà sul mensile Gambero Rosso di giugno 2023. Il numero lo troverete in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store

Abbonamento qui

 

ARTICOLO TERMINATO!

E come sempre ti raccomandiamo: se hai domande, dubbi, chiarimenti di qualsiasi tipo, scrivici nei commenti o lascia la tua valutazione! Il team di FOODTOP è al tuo servizio per offrirti un servizio di qualità. Per richieste di collaborazione e di carattere promozionale Contattaci via email. Un saluto dal team di Foodtop!

Gambero Rosso

Written by Gambero Rosso

Gambero Rosso è la piattaforma leader per contenuti, formazione, promozione e consulenza nel settore del Wine Travel Food italiani. Offre una completa gamma di servizi integrati per il settore agricolo, agroalimentare, della ristorazione e dell’hospitality italiana che costituiscono il comparto di maggior successo con un contributo rilevante per la crescita costante dell’economia.

What do you think?

Ecco perché il pane buono non può costare meno di 6 euro al chilo

I 10 migliori vini rossi da bere freschi quest’estate