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Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano

Quello dell’Appennino Tosco-Emiliano è un parco relativamente giovane. «Le attività hanno preso il via nel 2007 (6 anni dopo l’istituzione ufficiale), dando seguito una legge del ’97 che stabiliva in modo approssimativo i margini dell’area protetta», racconta il Direttore Giuseppe Vignali. «In pratica, il nostro perimetro è frutto di una soluzione di compromesso fra cacciatori e ambientalisti: i comuni l’hanno costruito un metro alla volta, senza intervento statale, delimitando la porzione di territorio corrispondente al crinale dell’Appennino e inglobando numerosi centri abitati delle valli sottostanti; ecco perché, sulle mappe, appare come una lunga striscia munita di tentacoli».

Il risultato? Una riserva dove il clima continentale convive con quello mediterraneo, fermo restando l’infinita varietà di ecosistemi compresi fra i dolci rilievi emiliani e i ripidi pendii del versante sud. «Nel primo caso, il paesaggio si caratterizza per la presenza dell’arenaria “macigno” e di splendidi laghetti glaciali, che cedono gradualmente il passo a boschi e prati per la foraggicoltura: siamo nel regno del Parmigiano Reggiano!», spiega Vignali. «La parte toscana, invece, comprende diversi massicci dai profili aguzzi e, fra i 300 e 1000 metri, alcune coltivazioni di cereali come il Farro della Garfagnana». L’elemento più interessante dal punto di vista naturalistico, però, è lo stretto corridoio che consente alle specie animali e vegetali da passare dalla pianura alle Alpi. «Una salvezza, non solo per gli abeti rinati dopo lunghi periodi di glaciazione, ma anche per i lupi migrati in Piemonte a partire dai rifugi dell’Italia centrale e meridionale. Da noi i visitatori hanno la possibilità di ammirare le specie relitte percorrendo sentieri relativamente “facili”, poiché le vette più alte dell’Appennino sfiorano a stento i 2000 metri». Ma il trekking è solo una delle attività praticate dagli atleti professionisti, che nell’ultimo decennio hanno fatto di queste catene montuose una vera e propria palestra open air: «Il versante emiliano, dove si accumula una grande quantità di neve, rimane la destinazione prediletta dagli sciatori».

E poi ci sono più di 2000 sorgenti, costeggiate da ciclisti e appassionati di equitazione che attingono alle fonti per rifocillarsi durante l’allenamento. «L’abbondanza di corsi d’acqua, dovuta al clima particolarmente piovoso delle zone vicine alle Alpi Apuane, consente al parco di rifornire molte città dell’Emilia. Per lo stesso motivo, i ricercatori lo considerano una sorta di sensore del cambiamento climatico; gli ultimi studi, ad esempio, mettono in luce l’evoluzione delle specie botaniche nelle praterie di vetta – come la primula appennina – che stanno migrando pian piano verso gli spazi erbosi d’alta quota. Dobbiamo assolutamente tenere sott’occhio questi fenomeni legati all’aumento delle temperature». Anche perché c’è in gioco la conservazione di un complesso microcosmo popolato da cervi, caprioli, falchi pellegrini e tanti altri esemplari che contribuiscono a rendere questa terra di confine un autentico paradiso di biodiversità.

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