Saper scegliere un olio d’oliva di qualità richiede conoscenze ed esperienza, soprattutto per orientarsi in un settore merceologico complesso, che negli ultimi anni sul piano produttivo sta scontando le conseguenze negative dovute ai cambiamenti climatici e alla diffusione dei parassiti. Ma cosa è bene sapere prima di comprare e come riconoscere un olio buono, extravergine, a partire dalla coltivazione e lavorazione? Dopo aver analizzato le innovazioni e i vantaggi dell’olivicoltura di precisione, per approfondire questi temi abbiamo coinvolto nuovamente Claudio Vignoli, sommelier, mastro oleario e socio dell’Organizzazione laboratorio esperti assaggiatori (OLEA).
Olio d’oliva di qualità: si parte dalla coltivazione
Alla base di una buona produzione olearia c’è sempre una corretta gestione e manutenzione dell’uliveto, delle piante e dei terreni. Claudio Vignoli precisa che per una qualità produttiva elevata sono importanti questi aspetti:
- I sesti di impianto (la disposizione delle piante sul terreno) devono essere compresi in un range di 4×5 metri e 6×5 metri. L’olivicoltura intensiva prevede una collocazione in filari paralleli, distanti tra loro in media 6 metri e occupanti idealmente i vertici di un quadrato o di un rettangolo. La distanza tra le piante deve consentire il passaggio di mezzi meccanici per la lavorazione. In Italia, dove prevale ancora un’olivicoltura di tipo tradizionale, troviamo invece sesti di impianto che vanno da 8×8 a 12×12 metri.
- La potatura deve essere policonica, ovvero lasciare libero il centro del tronco e permettendo alla luce l’ingresso dalle paratie laterali.
- Fondamentale è l’irrigazione (meglio se sub-irrigazione), per garantire il giusto apporto idrico e permettere lo sviluppo corretto della proporzione tra polpa e nocciolo dell’oliva. Questa pianta cresce anche nelle zone desertiche, ma la produzione dei frutti è fortemente influenzata dall’irrigazione e risente della siccità e delle alte temperature.
- I terreni, infine, vanno arati e trinciati periodicamente, per impedire lo sviluppo di piante infestanti e per arieggiare il suolo e dare il giusto apporto di azoto agli alberi.
Raccolta e molitura: modalità e tempi da rispettare
Particolarmente delicate sono le due fasi che seguono il lavoro sul campo e, come precisa Claudio Vignoli, “la raccolta va fatta a mano con l’aiuto di agevolatori meccanici (scuotitori di rami). È importante raccogliere e depositare le olive in contenitori areati e non ammassare i frutti in rimorchi, per evitarne lo schiacciamento e i conseguenti processi di fermentazione anticipati, che inciderebbero negativamente sulla qualità dell’olio. La lavorazione, pertanto, deve avvenire entro e non oltre 8-12 ore dalla raccolta per evitare sovra fermentazioni. Parlando invece della molitura, tra i sistemi più utilizzati l’estrazione centrifuga è quella consigliata. Preferibile è l’estrazione a due fasi, ovvero senza l’aggiunta di acqua, prevista invece nel processo di lavorazione a tre fasi, per impedire fenomeni di perdita di sostanze fenoliche ed evitare il classico difetto di avvinato (all’assaggio, si percepisce una sensazione olfattiva e gustativa che ricorda il vino o l’aceto – ndr.),
dovuti all’eccessivo uso di acqua. È poi fondamentale controllare in più punti la temperatura della pasta di olive e dell’uscita dell’olio dal decanter, che non deve superare i 24-27 gradi centigradi. I tempi di gramolazione, cioè il rimescolamento della pasta di olive ottenuta con la frangitura o molitura, vanno ridotti e mantenuti a non più di 13-15 minuti, per non disperdere le sostanze volatili che determinano profumi e piccantezza. Inoltre, maggiore sarà il tempo di esposizione della pasta a contatto con l’ossigeno, maggiore sarà la quantità di perossidi che si formeranno, con conseguente perdita dei componenti fenolici”.
Stoccaggio e imballaggio per una buona conservazione
Completata la produzione, occorre dedicare la stessa cura allo stoccaggio e alla distribuzione, che, come aggiunge Vignoli, “nella filiera dell’olio extravergine di oliva sono fondamentali per preservare la qualità del prodotto. Prova ne sia che recentemente l’Osservatorio interdisciplinare trasporto alimenti e farmaci ha pubblicato un documento scientifico con le nuove linee guida per il trasporto, il confezionamento e lo stoccaggio di olio evo e vino, con particolare attenzione alle temperature e ai materiali in cui vengono conservati i due alimenti”. Come spiega l’intervistato, non ci sono compromessi e l’olio deve essere:
- filtrato obbligatoriamente;
- conservato in silos di acciaio inox Aisi 310, che devono essere tenuti a temperatura controllata tra i 13 e i 18° C;
- fondamentale è l’utilizzo di gas inerti (azoto e/o argon) che impediscono il contatto tra olio e ossigeno, rallentando in maniera decisiva il processo di invecchiamento del prodotto, lento ma inesorabile;
- l’olio va imbottigliato in contenitori preferibilmente scuri, usando imbottigliatrici pulite e sanificate a ogni cambio di prodotto e va conservato lontano dalla luce, da fonti di calore e da temperature troppo rigide, come quelle inferiori ai 5° C che cristallizzano il prodotto con il classico effetto ‘margarina’.
Entrando nel dettaglio, prosegue Vignoli, “il packaging svolge una funzione chiave all’interno della filiera distributiva, perché contribuisce alla conservazione degli attributi qualitativi del prodotto confezionato per un determinato periodo di tempo, detto ‘shelf life’. Fino ad oggi, il vetro ha rappresentato la scelta ottimale: considerato uno dei materiali più antichi di sempre sul mercato, risulta impermeabile a gas e vapori. Se opportunamente colorato, inoltre, è in grado di schermare la radiazione luminosa dannosa per l’olio e presenta una notevole inerzia termica, consentendo anche di vedere il prodotto in esso contenuto, aspetto molto apprezzato dai consumatori”.
I materiali migliori e i nuovi trend del packaging
Negli ultimi anni, continua Vignoli, “è emersa la necessità di considerare, anche per l’olio di oliva di qualità, nuove soluzioni di imballaggio, che garantiscano non solo protezione ma anche funzionalità, sostenibilità e convenienza. Ad oggi, tra i migliori materiali si annoverano il vetro scuro, l’acciaio inossidabile, il cartone rivestito e le bag-in-box. Se non opportunamente schermato con pellicole o etichette, assolutamente da evitare è il vetro trasparente, che non protegge dalla luce. Poco idonei sono anche i contenitori di plastica, troppo porosi per fornire un’adeguata protezione dal calore e dall’umidità. Le piccole molecole di plastica, inoltre, possono penetrare nell’olio, diminuendone ulteriormente la qualità. Il nuovo trend è invece il cartone patinato, che garantisce una serie di vantaggi, come la facilità di trasporto, l’impermeabilità a luce e umidità, la maggior leggerezza rispetto a vetro o acciaio e la resistenza agli urti. In crescita anche la diffusione di soluzioni ergonomiche, come i versatori regolabili e le chiusure anti-rabbocco. In particolare, ho da poco sperimentato un nuovo sistema di tappi anti-rabbocco brevettati da una società israeliana e pensati non solo per proteggere la freschezza dell’alimento, ma anche per facilitare l’esperienza di utilizzo. Si tratta di un aspetto da non sottovalutare, in quanto può incidere positivamente anche sull’incremento delle vendite, poiché chi acquista un olio con tappo di questo tipo lo percepisce come un valore aggiunto”.
Qualità dell’olio extravergine: parametri chimici e caratteristiche sensoriali
Un olio che vuol essere classificato extravergine deve rispettare i parametri imposti dal regolamento vigente (a partire da un valore di acidità minore o uguale allo 0,8%, ndr), tuttavia, come sottolinea l’intervistato, “da sola la chimica non è sufficiente. Infatti, è necessario un esame organolettico che deve obbligatoriamente dare come risultato la totale assenza di difetti: in termini tecnici, si dice che la mediana dei difetti deve essere pari a ‘zero’. Inoltre, dall’esame organolettico deve risultare che l’olio possiede la caratteristica positiva di fruttato (la mediana del fruttato deve essere quindi superiore a ‘zero’). Se così non fosse, l’olio dovrà essere declassato a vergine o, peggio ancora, a lampante”.
Cosa influenza la corretta valutazione di un olio e quanto può incidere il gusto personale?
Per valutare la qualità di un olio extravergine, puntualizza Vignoli, esistono due modi:
- oggettivo, mediante un’analisi chimica che si realizza secondo una metodologia standard valida in tutto il mondo e per questo ‘oggettivamente valida’;
- soggettivo, mediante una valutazione sensoriale definita ‘organolettica’ che, pur seguendo standard comuni, si rimette molto a una valutazione soggettiva e personale da parte di chi assaggia e valuta l’olio, quello che viene definito ‘sommelier’ di olio di oliva.
Pertanto, “nonostante ci si possa sforzare di essere il più neutri possibile, nella realtà ogni qualvolta interviene una valutazione soggettiva questa non potrà mai essere scevra da interferenze personali. L’olio di oliva, infatti, è un alimento, e come tale è soggetto al gusto e al palato di ognuno di noi, quindi, l’incidenza del gusto personale è molto forte nella valutazione di un olio. Anche per questo quando mi chiedono quale sia l’olio migliore, rispondo con convinzione: quello che più ci piace e ci trasmette emozioni, esaltando le nostre papille gustative e il nostro olfatto”.
Olio extravergine di qualità: cosa considerare al momento dell’acquisto
Secondo Claudio Vignoli, “per i consumatori il consiglio è di orientarsi sull’extravergine di oliva, leggendo con molta attenzione l’etichetta per avere informazioni sull’origine del prodotto. Meglio privilegiare quelle che riportano la dicitura completa ‘Olio extravergine di oliva’, indicando anche il metodo di produzione ‘estratto meccanicamente’ e la provenienza delle olive. Inoltre, va sempre verificata la presenza della data di scadenza, che deve essere obbligatoriamente riportata. Anche un olio extravergine di qualità, infatti, dopo circa 18-24 mesi va incontro a processi di ossidazione. Infine, se si cerca un prodotto di pregio, tracciato e di provenienza certa, occorre verificare la presenza di marchi di qualità riconosciuti dall’Unione europea, come Dop, Igp, Stg o biologico”.
Per i ristoratori il consiglio è analogo: “puntare sulla qualità e non lasciarsi guidare solo dalle logiche del prezzo. Queste ultime continueranno a prevalere se non si inizia a percepire l’olio come una nuova leva di marketing. Per questo prezioso alimento il potenziale è ancora sottovalutato perché, a differenza del vino, l’olio non viene addebitato sul conto e quindi non è percepito come fonte di reddito. Eppure, ci sono diverse forme per recuperare il costo e magari generare anche un nuovo guadagno promuovendo la propria attività, anche attraverso un olio extravergine di qualità al posto di un’anonima bottiglia di olio industriale. Guardiamo a Paesi come la Spagna o gli Usa, dove per esempio esistono già delle carte degli oli extravergini, al pari di quelle dei vini, e si propongono accurati percorsi di degustazione”.
Il livello medio di qualità degli oli della grande distribuzione
Questa domanda interessa chi abitualmente fa la spesa al supermercato, e a tal proposito Vignoli afferma che “oggi il consumatore può trovare sugli scaffali buoni prodotti, anche ottenuti esclusivamente con olive italiane al 100% e con un tempo di esposizione alla vendita pari a 18 mesi. In generale, al di là dei recenti scandali dell’olio contraffatto e dei prodotti etichettati extravergine che poi sono risultati non esserlo, nella Gdo c’è sicuramente una buona scelta, anche se tende ancora a predominare la selezione al ribasso. Sarebbe meglio invece operare la selezione in base alle tre tipologie di olio più apprezzate e scelte in base ai tre gusti dominanti del consumatore, ovvero delicato, medio e intenso. Si riuscirebbe in tal modo a intercettare e soddisfare l’intero bacino di utenza, un approccio già adottato da alcune catene in Svizzera con buoni risultati. Inoltre, per migliorare ancora l’esperienza di acquisto e aiutare il consumatore a comprendere meglio il prodotto e le differenze di prezzo, sarebbe utile la suddivisione degli oli proposti in almeno tre sottocategorie distinte: extravergine, vergine e sansa, in modo da presentare anche in maniera più chiara e corretta i singoli prodotti e le loro peculiarità. Sarà poi il cliente a decidere, una volta informato, quale olio comprare in base al suo portafoglio e al suo gusto”.
L’olio extravergine di qualità come leva di marketing per le attività commerciali
Questo importante aspetto è ancora sottovalutato e poco esplorato dalle attività commerciali, ma merita di essere approfondito. Claudio Vignoli ricorda che “l’olio evo italiano è riconosciuto a livello mondiale tra i migliori ed è indubbiamente simbolo del Made in Italy. I ristoratori italiani dovrebbero iniziare a sfruttare al meglio questo potenziale, anche rispetto al marketing. Guardando agli Usa, un mercato che seguo ormai da molti anni, sempre più ristoratori stanno creando proprie etichette di olio evo, con logo e nome del locale. Una scelta che permette di offrire un prodotto personalizzato, che si trasforma anche in un veicolo pubblicitario per il ristorante stesso. In Italia, infine, si dovrebbe puntare di più su percorsi degustativi e abbinamenti nei menù, magari stipulando accordi commerciali con i produttori di olio. Sarebbe un modo per offrire al consumatore non solo un olio extravergine di qualità rispetto a un’anonima bottiglia industriale, ma anche per conoscere meglio le eccellenze del nostro territorio”.
Conoscevate le caratteristiche di un olio extravergine di qualità e i presupposti per ottenerlo?
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