Senza conservanti e additivi, la zuppa firmata Niko Romito dura un anno fuori dal frigo. È il frutto di una ricerca che avvicina sempre di più lo chef abruzzese all’industria alimentare, un dialogo che nel corso del tempo ha saputo condurre senza snaturare la sua vocazione alla cucina di qualità, ma sapendo prendere il meglio dei processi produttivi su larga scala consegnando le sue conoscenze in termini di materie prime, ricette, sapori, valori nutritivi e consistenze. L’alta cucina abbraccia l’industria, senza farne mistero. Lo abbiamo visto in diverse occasioni, quando applicava quel processo di vasi comunicanti che ha sempre impiegato per le sue attività, dal ristorante fine dining alle stazioni di servizio Alt.
Industrializzare non è reato
In tal senso il lavoro sul pane è emblematico. Nato in seno al ristorante Reale, l’ammiraglia di casa Romito, dove da prodotto d’accompagno ha conquistato dignità di portata a tutti gli effetti, è stato oggetto di studio intenso, affinando tecniche di rigenero che assicurano croste croccanti. Il lavoro continua, i progetti si moltiplicano, così nasce un laboratorio dedicato, un’azienda che segue specificatamente la linea produttiva del pane, non solo servito nei ristoranti di Niko – il Reale, Spazio, Alt, Bulgari – ma anche venduto nel format nato a Roma, Spazio Bar e Cucina che avvicina da presso le bakery internazionali ma italianissima, made in Abruzzo. Il pane arriva direttamente dal laboratorio vicino a Castel di Sangro, abbattuto a -20, nel corso del tempo le tecniche si affinano, e oggi il pane viene conservato a -4 gradi in una busta speciale, a ossigeno e azoto controllati. In questa busta il pane si mantiene fino a un mese. Non è ancora finita: «l’obiettivo, ora, è saltare completamente la catena del freddo, con un pane che si mantiene a temperatura ambiente per 20/30 giorni». Il segreto? «Una fibra vegetale nell’impasto e degli assorbitori di umidità nelle buste». Dunque un doppio lavoro su prodotto e confezione. «Non siamo ancora pronti, però».
Per Romito è questione di tempo, perché ormai ha preso le misure con le potenzialità che un certo approccio industriale può offrire, lasciando inalterata la qualità del prodotto. Come nel caso dei biscotti, «forse uno dei prodotti più difficili». Vegani, senza uova né grassi animali, nonostante questo buoni, golosi, avvolgenti. Frutto di un lavoro di quasi un anno per arrivare al risultato desiderato, senza usare prodotti chimici. Si mantengono fragranti per diversi mesi. Il segreto? «Il contenitore tecnico». Con lo studio sulla bomba, Romito ha rimodulato la ricetta storica del padre, eliminando totalmente i grassi animali, sostituiti da un’emulsione stabile di olio evo e burro di cacao e mettendo a punto una procedura che assicura un prodotto sempre uguale, realizzato nel laboratorio di produzione, abbattuto e poi spedito nei vari ristoranti. In ogni locale di Romito c’è la stessa bomba, la scalabilità ottimizza costi e fissa le procedure, l’economia di scala dà i suoi frutti. Il merito è dell’industrializzazione dei processi che fa saltare l’equazione per cui la standardizzare sia una cosa negativa a priori, piuttosto dipende da quale è il livello a cui ci si allinea. Mentre il laboratorio sforna a pieno ritmo bombe e biscotti, per lo chef è arrivato il momento di guardare anche al salato: con lo sviluppo di Alt insieme a Eni e la moltiplicazione delle stazioni di servizio, Romito ha ingranato la quarta. Ci sono diversi punti vendita, e molti altri arriveranno nei prossimi anni, e in ognuno la qualità deve essere la stessa. Il modo per limitare le variazioni Romito lo conosce bene: ingegnerizzare ricette e processi, limitare l’intervento del banchista, fornire quanti più prodotti già pronti. Perché – lo abbiamo visto – un prodotto confezionato può essere buono.
Il segreto della zuppa
La prima uscita è una zuppa di legumi: lavora su ingredienti, sapore, consistenze. Arriva negli Alt in busta, pronta da servire finita da un giro di olio. Si conserva fino a un anno a temperatura ambiente, senza conservanti né additivi. Come ci è riuscito? «Lavoriamo su tre varianti: temperatura, pressione e rapporto con acqua nella ricetta. Lavorando con pressione e temperatura annulliamo una serie di cariche batteriche, questo ci consente di allungare la shelf life del prodotto che così è pastorizzato e sterilizzato. Le analisi da laboratorio danno la scadenza a un anno, così può essere spedita in Italia e all’estero senza bisogno della catena del freddo, cosa che cambia le economie, migliora la gestione degli stoccaggi, e anche dal punto di vista ambientale è vantaggioso». In buona sostanza gli ingredienti cotti e imbustati sotto vuoto, sono isolati da luci e altre contaminazioni, per cui restano integri. È un’invenzione di Romito? «Non posso dirlo con certezza: ogni tanto penso di aver trovato delle soluzioni poi scopro che alcune aziende già fanno la stessa cosa». La differenza la fa – ancora una volta – la qualità. Una volta superati i vari test e messa a punto la ricetta, ingegnerizza il processo, che poi passa al laboratorio di produzione. Così lo chef realizza la sua linea di piatti pronti.
Al momento le opzioni, nei 4 Alt aperti fino a ora, sono due: la zuppa di legumi e una minestra, variante con orzo, farro e una aggiunta di pomodoro, vendute rispettivamente a 10 e 12 euro. Il prodotto va bene, un po’ perché risponde alle esigenze di chi cerca un pasto salutare, un po’ perché è un pasto unico che soddisfa anche gli appetiti più robusti. E poi la zuppa risponde all’idea di un cibo buono, salutare, ma anche accogliente e domestico, un confort food per eccellenza (su cui gioca la comunicazione del piatto), che riporta ai piatti di casa – di cui in viaggio si sente più la mancanza – ma reinterpretati con competenza e tecnica d’alta scuola. Sono le prime due uscite di una serie di prodotti che nel tempo arricchirà la proposta dei punti vendita Alt, ma che al contempo apre nuove prospettive produttive e commerciali accorciando sempre di più la distanza tra alta ristorazione e industria alimentare.
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