La chiamano la pasionara dell’agroalimentare per il suo impegno contro le disuguaglianze nel mondo del cibo e del vino. È nata in Spagna e cresciuta in Francia, ma si definisce cittadina del mondo. Appena proclamata “Prima donna” nell’ambito del Premio Casato Prime Donne di Montalcino, Maria Canabal è la fondatrice del Parabere Forum, un appuntamento annuale e itinerante che ogni anno riunisce 400 donne da tutto il mondo tra cuoche e scienziate, ingegneri e contadine, antropologhe, produttrici di vino e agronome che si scambiano idee e progetti sul futuro dell’alimentazione. L’ultima edizione si è svolta la scorsa primavera in Italia, a Roma con lo slogan Vote with your Fork. La prossimo, in occasione dei dieci anni, sbarcherà a New York (2-3 marzo 2025). Alla vigilia del G7 dell’Agricoltura, abbiamo chiesto a Canabal qual è il suo messaggio per i potenti della terra.
È tutto pronto per il G7 dell’agricoltura che si terrà a Siracusa, anticipato dall’Expo Divinazione. Di cosa le piacerebbe si parlasse nel concreto?
Mi piacerebbe che ad ogni partecipante fosse consegnato un folder con il numero di contadini che si suicida in Francia o nel Regno Unito e in tutto il resto del mondo. Lo ha denunciato il The Guardian negli anni scorsi ed è un fenomeno che va avanti (il giornale britannico nel 2017 scriveva: «Un agricoltore australiano muore suicida ogni quattro giorni; nel Regno Unito, un agricoltore alla settimana si toglie la vita; in Francia, un agricoltore muore suicida ogni due giorni; in India, più di 270.000 agricoltori sono morti suicidi dal 1995»). I motivi? Isolamento, problemi finanziari e sovraccarico di lavoro. I numeri sono impressionanti. Ecco, vorrei che queste informazioni venissero messe sul tavolo dei Ministri e che la discussione partisse da qua.
Lo scorso marzo, il Forum Parabere ha fatto tappa in Italia. Cosa si è portata da quell’esperienza?
Sono stata contenta di essere venuta a Roma: il posto giusto perché è lì che c’è la sede della Fao. Erano i giorni in cui tutti i contadini stavano scioperando nelle principali città d’Europa. Una cosa che mi ha colpito molto è stata la frase di un relatore del Forum: “No farmers no food”. Credo che queste parole dovremmo stamparcele bene in mente: il cibo non è fatto da multinazionali ma da contadini.
Ha fatto riferimento alla Fao. Si discute ancora di come risolvere il problema della fame nel mondo, ma davvero nel 2024 c’è ancora questa carenza di cibo?
La verità è che c’è cibo per tutti. Alla prima edizione del forum Parabere a Bilbao abbiamo avuto come ospite il capo delle politiche del cibo dell’Onu. Per loro, l’importante è parlare con i numeri. Noi i numeri li abbiamo: nel mondo si produce sufficiente cibo per tutti. È solo questione di divisione.
E con il gender gap come siamo messi? Le donne sono ancora discriminate nel mondo dell’agroalimentare?
È un problema mondiale che può essere spiegato molto facilmente: il gruppo che ha il potere non vuole perderlo o condividerlo. Per giunta, in questo momento, le idee di estrema destra stanno coinvolgendo tutta l’Europa. E questo c’entra perché l’equità è prima di tutto un fatto politico. L’inclusione, così come l’esclusione, è una scelta.
Da cosa sono escluse oggi le donne?
Voglio dare un dato che rende l’idea: in Africa (Paese sotto i riflettori del prossimo G7 dell’Agricoltura; ndr) l’80% di contadini è fatto da donne, ma le donne sono proprietarie solo del 2% della terra. Non solo. Hanno difficoltà a comprare fertilizzante perché nessuno è disposto a dare loro credito e se vogliono vendere i loro prodotti devono passare per un intermediario. In Afganistan la situazione è anche peggiore, perché le donne sono escluse dall’istruzione scolastica. Ricordiamolo sempre: se educhi una donna educhi un Paese intero.
Guardando all’evoluto mondo occidentale, oggi ci sono tante donne chef o produttrici di vino, ma spesso se ne parla come di un’eccezione in un mondo molto maschile …
È un mondo maschile solo quando diventa prestigioso, altrimenti è femminile.
Quindi non è un caso che in cucina ci siano più uomini che donne?
Attenzione: non in cucina. Nell’alta cucina. A casa o nei luoghi più umili non è così. Solo quando un mestiere esce dalle mura domestiche per diventare glamour allora diventa una prerogativa maschile. Facciamoci caso. È quello che avviene con i saloni di bellezza o con le sartorie. Le sarte sono tutte donne, ma i grandi stilisti – da Yves Saint Laurent a Christian Dior – sono uomini. Un caso?
Se il gender gap è ancora una realtà, trova che ci sia un po’ di pink washing che relega l’inclusività femminile a puro marketing?
Altroché: c’è ancora molto pink washing e lo vedo nel concreto grazie alla nostra associazione che spesso ha bisogno di sponsor. Fin quando si tratta di avere visibilità sono tutti dalla parte delle donne, se però si chiede di sostenere davvero la causa attraverso dei progetti specifici, allora sono pochissime le aziende a aderire.
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