Una presunta organizzazione legata alla malavita è stata scoperta nella ristorazione fiorentina: al vertice ci sarebbero due imprenditori, il primo di origini albanesi e residente in Italia dal 2004, il secondo fiorentino. I due uomini avrebbero comprato o affittato, nel periodo dal 2013 al dicembre 2022, locali del centro storico della città per 10 milioni di euro, pur avendo un reddito dichiarato non consono a sostenere quella spesa.
Malavita organizzata nella ristorazione a Firenze
Questo è quello che è stato ricostruito – stando a quanto riporta il Corriere Fiorentino – con le indagini del Nucleo di Polizia economico finanziaria di Firenze, insieme al supporto dello Scico, il Servizio centrale di investigazione sulla criminalità organizzata delle Fiamme gialle. Secondo la Procura, infatti, l’organizzazione avrebbe potuto fare quegli acquisti, in parte grazie ai soldi provenienti dalla gestione in nero. Le accuse ipotizzate per i due, sono associazione per delinquere finalizzata all’appropriazione indebita, autoriciclaggio e impiego di denaro di provenienza illecita. I finanzieri, ottenuto un decreto di perquisizione, hanno passato al setaccio otto ristoranti, uffici e abitazioni dei due principali indagati e, alla fine della giornata, il risultato è stato un sequestro di oltre 400 mila euro in contanti insieme a computer e telefonini, che saranno nei prossimi giorni analizzati da un consulente.
Otto ristoranti finiti nel mirino degli investigatori
Sempre secondo le indagini, il quartier generale dell’organizzazione si trovava nel locale al Cavallino di piazza della Signoria: era qui che sarebbero finiti, spiega il Corriere fiorentino, quotidianamente, i soldi della contabilità in nero sottratti alle società che sarebbero serviti, secondo l’accusa, sia per pagare in nero i dipendenti delle varie società, sia per acquisire altri bar e ristoranti, oltre che per comprare auto di lusso, lingotti d’oro e diamanti. I ristoranti finiti nel mirino sono otto, ma per gli investigatori ce ne sono molti di più: in totale, al momento le perquisizioni sono state 23.
Il food, un ricco business che piace alla mafia
Spaziano ovunque gli interessi della malavita organizzata e il bisogno di espandere il proprio business ha diretto i boss dritti dritti verso il settore della ristorazione, da sempre nel mirino degli investimenti criminali per la possibilità offerta di riciclare e ripulire montagne di denaro sporco, ma ora più che mai, disarmato e pronto a cedere a causa della grave crisi imprenditoriale determinata dalla pandemia. Secondo il rapporto Agromafie di Coldiretti sulle infiltrazioni criminali nel periodo dell’emergenza Covid, il giro di affari proveniente dall’agroalimentare, quindi dall’agricoltura all’allevamento, dalla distribuzione alimentare alla ristorazione, con ben cinque mila ristoranti in mano alla criminalità, raggiungeva il valore di 24,5 miliardi di euro.
I locali post pandemia sono più deboli
Da Roma a Milano, passando per Bologna e Firenze fino a Napoli, difficile che nelle indagini fatte sulle infiltrazioni mafiose nelle attività produttive, non salti fuori il nome di un un qualche ristorante, bar o locale gestito dalle mafie. Del resto, lo sappiano noi e lo sanno anche loro ovviamente, tra banconi e tavoli girano tanti soldi e spesso in contanti, una manna per la criminalità. A confermare la situazione anche l’Agenzia di informazioni commerciali e di rating Cerved: in base alle sue analisi, nel 2022 erano diventati già più di 9 mila i ristoranti che a causa della pandemia si sarebbero potuti potenzialmente trovare in grave difficoltà finanziaria, diventando prede ghiotte per i clan.
Roma e Milano, nelle città ricche girano i soldi
I quali amano le città ricche soprattutto, la Capitale, in particolare, considerata la più esposta ma ugualmente Milano, dove i soldi che girano intorno alla ristorazione sono davvero molti. Ad aprile scorso, ma solo per citare la più recente, il Gico del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf del capoluogo con la Polizia locale, ha sequestrato 4 società che gestivano locali di ristorazione all’interno del Mercato comunale milanese nel quartiere Isola, zona della movida, nell’ambito di un’inchiesta sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta.
“La febbre del cibo” a Bologna
Fra le più colpite, c’è anche Bologna, e a farcelo sapere e a fotografare la triste realtà della città emiliana, è stata l’associazione Libera con un approfondito lavoro dal titolo indicativo La febbre del cibo. Le ombre della ristorazione bolognese con il quale i due giornalisti Andrea Giagnorio e Sofia Nardacchione hanno acceso i riflettori su un mondo fatto di strani investimenti, di ristoranti spesso vuoti ma con fatturati altissimi, di locali che aprono e chiudono in poco tempo, imprese apparentemente in regola, ma che pagano parte degli stipendi in nero, e ristoratori costretti a chiudere.
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