La sigaretta sempre accesa, la coppola a tema scozzese, circondato dalle sue bottiglie conservate rigorosamente in piedi secondo un ordine che solo lui conosceva. Lo ricordiamo così Lino Maga, il signor Barbacarlo ci ha lasciati a 90 anni. Il mondo del vino, non solo oltrepadano, è stato profondamente segnato da quest’uomo che, bambino, iniziò a vendemmiare prima della Seconda guerra mondiale, per poi costruire bottiglia su bottiglia il mito di se stesso. Innumerevoli gli aforismi a lui attribuiti, gli aneddoti che chiunque lo abbia conosciuto potrebbe raccontare. Le visite nel suo antro di Broni, le bottiglie sparpagliate sul tavolaccio di legno, bottiglie che lì, a casa sua, sembravano sempre più buone che stappate altrove. La sua battaglia per il riconoscimento esclusivo del nome Barbacarlo, col supporto di pezzi da novanta come Brera e Veronelli, due personaggi che immancabilmente saltavano fuori dai suoi racconti fiume, tra uno sbuffo di sigaretta e un altro. Amato e contrastato, lui e il suo vino, ben difficilmente suscitavano reazioni di indifferenza.
Il mito del Barbacarlo
Per raccontare del Barbacarlo ci vorrebbe ogni volta un libro. Perché stiamo parlando di un importante pezzo di autentica storia. Croatina, uva rara, vespolina, da una vallata unica tra Broni e i primi contrafforti collinari di Canneto Pavese, vinificazioni separate in vecchie botti di rovere, rifermentazioni in bottiglia… Ogni anno, ma si può dire ogni bottiglia, un vino diverso. Più o meno dolce, più o meno mosso, spumeggiante anzi. Un caso più unico che raro, un vino frizzante capace di invecchiare trent’anni e oltre. La terra, quella terra che amava più di ogni altra cosa, gli sia lieve.
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