C’è una pasta ormai pressoché dimenticata e introvabile che sta alla base dei capelli d’angelo, la preparazione cui il N.Y.T. ha dato nuovo lustro pubblicando la ricetta dello chef Dan Pelosi: sono i sardi filindeu, spaghettimi sottilissimi tirati a mano e derivati, probabilmente, dai fidaws arabi (il termine significa “capelli” a sottolinearne la finezza).
Filindeu: l’arte di stendere la pasta con le mani
In Sardegna, questa pasta è lavorata come fosse una sorta di tombolo: tirata a mano rendendo la sfoglia (acqua e semola) particolarmente elastica grazie a un giusto dosaggio di acqua contenente il 90% di sale grosso) e a un poderoso lavoro di impasto manuale. È uno spettacolo affascinante e suggestivo seguirne la preparazione: viene steso a mano un cilindro i cui due capi vengono poi tenuti con una mano mentre l’altra allunga il tutto e lo raddoppia, fino a farne sottilissimi filamenti di pasta che sono poi adagiati su un cerchio intrecciato che – quando tre strati di questi fili vengono sovrapposti – viene esposto al sole per l’essiccazione. La loro destinazione originaria era nel brodo di pecora: è una pasta secca con una shelf life abbastanza lunga e veniva utilizzata spesso anche dai pastori che se ne portavano pezzi nella bisaccia. Per consumarla, infatti, il grosso cerchio intrecciato vien spezzato in parti più piccole che saranno ammorbidite cuocendole nel brodo. Oggi, grazie a torchi e trafile, questa preparazione non ha più molto senso. Ma prima dell’invenzione (o della scoperta) degli spaghetti era il modo per una essiccazione veloce della sottile pasta che poi molto facilmente si poteva ammorbidire e mangiare anche in situazioni estreme.
I filindeu nei piatti degli chef contemporanei
Certo, la tradizione e la storia non devono essere sempre e per forza “utili“. Quindi, ci sono artigiani sardi che molto tengono a questa preparazione antichissima che richiede una grande manualità ed esperienza. Non solo, ci sono anche chef contemporanei che ne fanno una cifra della loro raffinata cucina: si tratta di una preparazione elegante, che assume consistenze molto particolari e che ha una sua importanza anche estetica non trascurabile. Lo chef Salvatore Camedda, nel suo ristorante Somu ad Atzachena, ne fa un piatto davvero estremo e territoriale. Mentre un’altra chef cagliaritana, Marina Ravarotto, titolare di ChiaroScuro (Due Forchette Gambero Rosso) nel centro del capoluogo isolano, è andata a imparare a fare i filindeu dalle (pochissime) signore di Nuoro che hanno portato questa tradizione nella contemporaneità. Marina, li fa lei i filindeu e li propone in brodo di pecora chiarificato, extravergine e pecorino, l’emblema della semplicità. Una semplicità difficile da raggiungere, come appunto tutte le cose che si mostrano semplici.
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