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Kilchoman: alla scoperta della Farm distillery dell’isola di Islay

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Il concetto di terroir nei distillati

A chi è figlio di una cultura strettanmente legata al vino, come noi figli dell’Europa continentale, il concetto di terroir pare imprescindibile per comprendere a fondo alcuni prodotti, per esempio i distillati. E se i nostri schemi di pensiero si applicano quasi inevitabilmente a tutti quei distillati che con la viticoltura sono imparentati (Cognac, Armagnac e Grappe) e, a seguire, anche con i più nobili distillati di frutta, merita invece di essere approfondito il rapporto con la sua materia d’origine dello spirits più riconosciuto a livello di prestigio internazionale, ovvero il whisky. Se i distillati sopracitati sono infatti figli dell’agricoltura, il nobile invecchiato di Scozia è per certi versi, nella versione che oggi conosciamo, debitore della rivoluzione industriale, che se da un lato lo ha reso celebre, dall’altro ne ha mutato l’essenza. La distilleria è storicamente parente della fabbrica, e con questa spartisce alcune regole, tra cui l’acquisto della materia prima sul mercato e la vendita di massa. Se negli ultimi anni sul secondo punto si è andati sempre di più a cercare un posizionamento premium, sul primo invece la situazione è rimasta grosso modo invariata, anzi, a seguito della crescente richiesta globale, nella maggior parte dei casi, è sempre più difficile tracciare la provenienza della materia prima.

Nella maggior parte dei casi appunto, perché ci sono delle distillerie che hanno aperto negli ultimi anni che hanno ben chiara l’idea di un modello diverso di whisky, che torni a parlare di filiera e addirittura di agricoltura. E se c’è una realtà che prima di tutte si è mossa in questa direzione e che più di tutte ha dato il via a questa rivoluzione, essa è senza dubbio Kilchoman.

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L’Isola di Islay

Il vento soffia tra le rovine della chiesa in pietra grigia, si incanala dalle finestre senza più vetri e sgorga libero dalla grande apertura che un tempo era il tetto. L’erba si piega al suo passaggio, lasciando scoperte le lapidi realizzate dello stesso materiale delle mura della piccola parrocchia di campagna, ormai cadute e piegate. Sulla maggior parte di quelle pietre tombali troneggiano parole di conforto, nomi e date incomprensibili ai visitatori, perché qui sulla “regina delle Ebridi” il gaelico è tuttora una lingua importante, parlata dalla maggior parte dei 3000 abitanti sparsi su questi 600 km² a largo delle coste della Gran Bretagna. Qui si arriva soltanto in due modi: con il traghetto dalla terra ferma o con un piccolo aereo giornaliero da Glasgow.

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Mentre quest’ultimo atterra sulla lingua di asfalto srotolata in mezzo a lussureggianti prati verdi, può apparire che l’economia locale si basi sulla pastorizia, vista la presenza diffusa di bovini pelosi e pecore a perdita d’occhio, ma è sbagliato. Siamo infatti in una delle zone di produzione storicamente più importanti per il whisky a livello mondiale, ed è qui che nascono molti dei torbati più apprezzati del mondo: Ardbeg, Bowmore, Bruichladdich, Bunnahabhain, Caol Ila, Lagavulin e Laphroaig. Leggenda vuole che il motivo di tutta quest’abbondanza di distillerie sia da ricondurre al fatto che su quest’isola sperduta non arrivassero gli esattori reali a richiedere le tasse sulla distillazione.

Questa lista contempla nomi che ormai sono leggendari: infatti per più di un secolo queste distillerie sono rimaste a presidiare l’isola, e al loro fianco il tempo pareva essersi fermato. È anche per questo che quando, nel 2005, dopo 124 anni ha aperto i battenti una nuova distilleria, la notizia ha fatto rizzare le orecchie a tutti gli appassionati del mondo. Una notizia rilevante per motivi geografici e storici, ma il vero motivo per cui vale la pena parlare di Kilchoman e della sua apertura è il suo modello di produzione che si differenzia dalle altre grandi distillerie scozzesi per il tentativo di integrare la filiera verticalmente, partendo dalle spighe dei cereali fino ad arrivare all’ultimo giorno di invecchiamento: un percorso lento ma parte del DNA dell’azienda in modo indelebile.

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Farm Distillery

Se c’è un termine figlio del primi anni venti tanto quanto “armocromia” e “goblin mode” questo è senza dubbio “Farm Distillery”. Mentre i primi due termini, per ovvi motivi, sono di pubblico dominio, il terzo è un po’ da geek, ma ormai tutti gli addetti ai lavori sanno di che si tratta; nel dettaglio stiamo parlando di una delle poche distillerie di Scozia ad avere il proprio Maltin Floor di proprietà interno all’azienda, ovvero il “pavimento” su cui avviene la maltazione. Nonostane la distilleria sia ancora piuttosto piccola (in totale producede 450.000 litri l’anno), il loro Malting Floor non riesce a sopperire a tutta la produzione, e il restante fabisogno viene acquistato a Port Ellen, come accade per tutte le distillerie dell’isola. Ma la direzione tracciata appare ben chiara, Infatti alcune delle loro release, come ad esempio quella battezzata “100% Islay” che esce annualmente in una nuova edizione legata al raccolto sin dal 2011, sono completamente autarchiche, partendo dalla coltivazione dell’orzo e arrivando sino all’imbottigliamento.

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Le bottiglie di Kilchoman

Ancor prima della nascita della già citata 100% Isaly, la distilleria ha presentato nel 2009 il proprio primo Single Malt, invecchiato 3 anni, seguito l’anno successivo dal primo imbottigliamento standard, Machir Bay (che prende il nome da una bellissima spiaggia sabbiosa dell’isola) invecchiato per un 80% in botti ex-bourbon, e per un 20% in Sherry Oloroso. Negli anni arrivano numerose release, tra cui la seconda standard, Sanaig, che si differenza dal precedente nell’invecchiamento, che in questo caso è 30% di ex bourbon, e 70% di ex sherry oloroso. Oltre a queste, ci sono state numerose limited release, come il Loch Gorm, invecchiato totalmente in ex sherry oloroso, il Port cask finish o il Souternes Cask Finish.

Comraich

Per cogliere a pieno l’anima di questa distilleria sarebbe utile visitarla, visto l’intenso lavoro di creazione valoriale che sottende, ma per fortuna non è indispensabile recarsi in Scozia per conoscerne i prodotti. Qualche anno fa, infatti, Kilchoman ha deciso di selezionare in giro per il mondo un numero limitato di bar per far parte del progetto Comraich, parola che in Gaelico vuol dire Santuario, e avviare così un serio progetto di comunicazione. I Comraich di Kilchoman sono le ambasciate estere della distilleria agricola, dove non solo sono disponibili all’assaggio tutte le release, comprese le più rare, ma ve ne è anche una realizzata in esclusiva, che si chiama Comraich appunto. Anche il nostro paese ne ospita alcune, sei nello specifico: del Rasputin a Firenze, Blend, di Castelfranco Veneto, Scotch di Roma, Old London Pub di Trieste, Mercante a Venezia e il Ristorante Whiskyeria Tolastor, di Livigno.

a cura di Federico Silvio Bellanca

foto di Mike Tamasco

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