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L’isola italiana dove i detenuti fanno vino (ma non lo bevono)

Marius è arrivato a Gorgona un paio di anni fa. Di buon mattino va in vigna con Saber e Daniele e al momento giusto passa in cantina. I tre sono dipendenti della cantina Frescobaldi, che gestisce in vigneti dell’isola, un’ora di navigazione da Livorno, 200 ettari che salgono in terrazze fino a 220 metri sul mare, tra filari e oliveti, pascoli e orti. Gorgona è l’ultima isola penitenziario rimasta in Europa. 81 detenuti a fine pena, più della metà con l’articolo 21, che regolamenta l’accesso al lavoro dei detenuti, che qui sono attività agroalimentari, la produzione vitivinicola è la più nota, anche per via della collaborazione con i Marchesi Frescobaldi, 7 secoli di storia enologica alle spalle, ma non è la sola: ci sono oliveto e panificio, un tempo c’era anche un caseificio dismesso nel 2020, tutte attività condotte dai detenuti che vivono qui.

Il vino dei detenuti

A passarci una giornata – l’isola si può visitare – la bellezza di questi paesaggi fa dimenticare che ci si trova in un centro detentivo: le recinzioni, pur presenti, non si percepiscono, l’atmosfera non è soffocante, la natura incanta: «quando sono al lavoro non mi sento un detenuto, ma solo un viticoltore. Mi ricordo che sono in carcere la sera, quando le porte si chiudono» racconta Marius. A lui è affidato un ruolo importante: guida il trattore, maneggia gli attrezzi, tutti gli attrezzi, anche quelli che non si penserebbe possano essere permessi in un contesto del genere. Non è così: il re inserimento nella società passa anche per la fiducia e la responsabilità. «Ho un impegno e una responsabilità che prima, fuori dal carcere, non avevo». Deve scontare ancora 3 anni e 8 mesi, ma spera di poter uscire da qui, lavorando in affidamento in un’azienda vitivinicola «il mio percorso qui e in altri carceri l’ho già fatto, ora spero di avvicinarmi alla mia famiglia in Piemonte», terra di grandi vini. Questa è la sua strada: non aveva mai lavorato la terra prima e gli inizi non sono stati facili, c’era tanto lavoro da fare, erbacce da ripulire, «è stata dura, ma vedendo le piante che fioriscono e i vigneti che riprendono vita, la soddisfazione è tanta. Siamo contenti dei risultati, di quello che siamo riusciti a produrre». Il percorso è stato lungo: «abbiamo imparato da zero, passo dopo passo, credo che essere cresciuti con Frescobaldi possa essere un bel biglietto da visita». Si sente preparato, anche se nel suo percorso manca un passaggio, quello finale: l’alcol è vietato in carcere. Quindi non ha ancora assaggiato il frutto del suo lavoro. Lo farà quando uscirà, nel frattempo continua la sua formazione, come accade per gli altri detenuti. Lavorano tutti sull’isola, imparando un mestiere, costruendo per ognuno un nuovo futuro.

La giornata di festa a Gorgona

Il sovraffollamento delle carceri qui non è un problema: stare sull’isola può essere un miraggio, ma anche un incubo, per chi soffre il doppio isolamento, carcerario e geografico, e le richieste per Gorgona non sono dunque sufficienti a riempire tutta la struttura. «In tanti dopo un paio di mesi hanno chiesto di essere trasferiti – racconta Marius – soffrivano l’isola», anche per lui i primi tre mesi sono stati duri. «In inverno c’è il mare mosso, non viene nessuno. L’isola non è facile». In questa stagione dell’anno, però, c’è un momento di grande festa, perché viene presentata la nuova annata del vino prodotto sull’isola. La prima vendemmia fu presentata a Roma, ma poi l’appuntamento è stato sempre sull’isola: «bisogna presentare il vino dove viene prodotto» dice il Marchese Frescobaldi. È suoi il merito di aver portato tante persone sull’isola, facendo conoscere il progetto: all’inizio era un piccolo gruppo, cresciuto di anno in anno, «Gorgona è qualcosa di unico e speciale». Lo si vede non appena ci si avvicina, accolti da una manciata di casette colorate e un muro azzurrissimo con una scritta blu: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». È l’articolo 27 della Costituzione italiana, «a Gorgona vogliamo che sia qualcosa di concreto» dice Giuseppe Renna, direttore della casa di reclusione che – come i suoi predecessori – crede nel riscatto e nella possibilità di intraprendere una nuova strada, attraverso il lavoro. Ci ha creduto fortemente anche la famiglia Frescobaldi, quando ha accettato di collaborare a questo progetto, più di 10 anni fa.

I primi vigneti risalgono al 1999: poco più di un ettaro, qualche anno dopo sono stati aggiunti altri filari. Oggi sono 2,3 gli ettari vitati, soprattutto vermentino e ansonica, sangiovese e vermentino nero, mantenuti secondo i dettami bio seppur non certificati, curati dai detenuti insieme ad agronomi ed enologi di Frescobaldi. Il lavoro in cantina è ridotto ai minimi termini: lieviti indigeni, temperature controllate. Dopo la vinificazione c’è il viaggio verso la terraferma, per l’imbottigliamento: trattori, gru, navi e poi in strada verso Firenze. Lì le bottiglie prendono vita, 9mila, l’anno, nel 2015 è nato anche Gorgona Rosso da alcuni filari di sangiovese e vermentino nero, affinato in terracotta. L’obiettivo è di produrre un vino che abbia un valore a prescindere dal progetto che lo anima. E lo dice con grande soddisfazione Lamberto Frescobaldi: «tanti comprano il vino senza neanche sapere quello che c’è dietro». La portata umana e sociale, l’abbattimento della recidiva, la dimostrazione che un altro modello detentivo è possibile è il valore aggiunto. Dal 2012 a oggi, il progetto ha coinvolto un centinaio di persone, per molte si apre anche la possibilità di continuare a lavorare da Frescobaldi, «tra le nostre avventure questa è quella che ci ha segnato di più» commenta il Marchese Lamberto.

Gorgona. Vino attraente e selvaggio

Il risultato di tutto questo lavoro è un vino è figlio della luce, del mare, del vento, che è anche il tema dell’etichetta di quest’anno: Grecale, Scirocco, Libeccio e Maestrale, elementi fondamentali nella viticoltura di Gorgona. «Questo è un vino unico portatore del territorio» un vino «attraente e selvaggio», deciso, complesso e mediterraneo. Si è accompagnato a un pranzo organizzato dagli stessi detenuti guidati dalla cuoca Fernanda Zazzera, in collaborazione con otto reclusi nel carcere di Bollate, altro penitenziario modello con il progetto InGalera, primo e unico ristorante interno a un carcere. Un’esperienza di recupero e reinserimento: Bollate ha la recidiva più bassa d’Italia, e in 21 anni ha dato una prospettiva e un lavoro retribuito a 120 detenuti. Dovrebbe essere chiaro per tutti che il recupero e la costruzione di un futuro diverso sia l’unica forma di pena valida perché risponde a un duplice interesse: quello del singolo e quello della società. Goprgona e InGalara lo testimoniano.

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Scritto da Gambero Rosso

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