In un’epoca sempre più votata al settore terziario e alla digitalizzazione, riscoprire l’epoca in cui la modernità si chiamava industria sembra quasi archeologia. Ma di quel periodo lungo un secolo esistono non solo ricordi di persone e oggetti, ma anche intere città. Come Valdagno, oggi placido comune di circa venticinquemila abitanti in provincia di Vicenza, dove un tempo il rumore del progresso era così forte da apparir quasi assordante. Quando, per fare produzione, ancora servivano i numeri (soprattutto in termini umani) qui sorse una fabbrica tessile destinata a essere conosciuta nel mondo: la Marzotto.
Valdagno è di quei posti da inserire nei libri di architettura e urbanistica come un tentativo di città ideale, alla stregua di Urbino e Pienza. Qui, oltre a portare lavoro (e il conseguentemente benessere economico), la famiglia Marzotto provò a creare sulla riva sinistra dell’Agno (o Oltreagno) la Città sociale, un progetto fortemente voluto da Gaetano Marzotto Jr (1894-1972), e firmato dall’architetto Francesco Bonfanti. Un importante centro urbanizzato in un’area delimitata dal verde, ideato per essere un modello d’integrazione tra fabbrica e società, tra dimensione famigliare e attività sociali, ricreative e sportive. Per gli operai qui sorgevano appartamenti (e le meravigliose ville dei dirigenti) asilo nido, scuola materna, casa di riposo, oltre a vari impianti ricreativi (piscina, stadio, dopolavoro aziendale) e artistici come la Scuola di Musica.
Valdagno oggi
Oggi il mondo è cambiato, e con esso anche Valdagno, ma forse qualcosa di quel meraviglioso sogno ancora vive da queste parti: la socialità. A Valdagno si respira ancora l’aria positiva del paese, non scalfita da più di un anno di pandemia. Le persone hanno ancora il piacere di salutarsi incontrandosi, di chiacchierare nei tavolini dei bar e di mangiare insieme organizzando grigliate all’aperto. Eppure c’è qualcosa che ancora non è tornato come prima, un dettaglio che però a modo suo è fondamentale, ovvero l’aperitivo da Carlotto. Le attuali misure anti pandemia, infatti, vietano ancora di assieparsi nel piccolo locale, rimandando almeno per ora il rito dell’aperitivo a base dei liquori della casa.
Il liquorificio secolare
Quello che altrove sarebbe un semplice liquorificio con produzione e vendita, da queste parti è una vera istituzione, un bancone storico evolutosi nel tempo in vero e proprio bar. Alla bottega da vino (facente parte dell’Associazione Locali Storici d’Italia) non si va infatti solo per l’acquisto al dettaglio: qui si viene a bere e a incontrarsi, ed è sempre qui che da quattro generazioni si producono bevande alcoliche seguendo le ricette tramandate da padre in figlio (o figlia, come in questo caso), ampliando l’offerta fino ad arrivare l’attuale gamma di 24 bottiglie.
Se pensiamo a quanto è cambiato il mondo dal 1919, anno in cui l’azienda apriva i battenti, è normale immaginare che anche i gusti della clientela si siano evoluti. In catalogo compaiono infatti alcune bottiglie molto in voga nei paesi di cultura mitteleuropea, come il rosolio e lo zabaione, mentre nella seconda cordata troviamo tutta l’evoluzione della liquoristica italiana di inizio novecento, come ad esempio il cordiale, la china, e soprattutto l’aperitivo BiancoRosso e il Fior d’Agno (già premiato nel 1921).
Un rosolio dal sapore ungherese
Per capire al meglio la storia di questo opificio, bisogna andare fin in Ungheria dove affonda le proprie radici la famiglia Potepan. Attorno al 1820, durante il regno di Francesco I d’Austria, Anton Potepan parte dalla terra natia per servire nell’esercito austro-ungarico, e viene inviato nei territori del Lombardo-Veneto. È allora che sogna di trapiantare l’arte della pasticceria e della liquoristica della sua famiglia in queste terre, portando con sé la ricetta del suo rosolio a base di rosa bulgara. Anton si stabilisce a Valdagno, e con il figlio Giovanni Onesto, avvia una pasticceria. Nel 1883 trascrive la sua ricetta del rosolio fermandola nel tempo, e ancor oggi quella è la ricetta di riferimento. Con Giovanni Onesto l’attività prosegue e prospera finché la figlia Teresa e il marito Girolamo Carlotto prendono le redini dell’attività.
Quest’ultimo, con il fratello Vittorio, era già proprietario di una liquoreria a Valdagno – in Via Mazzini – ma dopo l’unione con Teresa l’attività si trasferisce in Via Garibaldi, dove oggi sorge il locale storico, in cui spicca l’attribuzione della licenza UTIF n.1 per le province di Vicenza, Verona e Mantova.
L’incontro con Gualtiero Marchesi
Nel 1974 subentra il figlio Giuseppe Carlotto, che deve fare i conti con l’avanzare della modernità. Decide di non entrare nelle dinamiche della nascente grande distribuzione, rimanendo nella sua dimensione artigianale. È con lui che avverrà l’incontro destinato a segnare il nome dell’azienda, quello con Gualtiero Marchesi. Nel 1980 il grande cuoco era alla ricerca di liquori personalizzati per il proprio ristorante; voleva un prodotto che potesse accontentare diversi palati e che al contempo fosse in linea con la sua idea di cucina. Dopo lunghe esplorazioni in giro per l’Italia, quasi per caso s’imbatté in questo piccolo liquorificio di paese e se ne innamorò. Quando Daniela, attuale erede in carica di Carlotto, racconta l’incontro con lo chef si commuove ancora: le sembra di rivederlo, appoggiato al bancone della sua famiglia, mentre con suo padre brinda e discute di prodotti. Ricorda ancora con affetto quando accompagnò il padre a Milano per andare a trovare il Maestro nel suo ristorante, e l’emozione di leggere quei due nomi sulla stessa etichetta: Carlotto-Marchesi. Nasce così una gamma di prodotti, che inizia con la china e si arricchisce poi con il cordiale, l’amaro e il rosolio, realizzate per il più grande cuoco d’Italia.
I liquori Carlotto
Nonostante Carlotto abbia superato i 100 anni, il locale pare più giovane che mai. Qui in tempi normali si viene a bere il BiancoRosso, lo storico aperitivo della casa, divenuto così popolare da essere anche imbottigliato. Dal 2000 vicino alla sede storica è stato aperto anche uno shop, Le Bontà, e nel 2002 il laboratorio produttivo si è spostato nella zona industriale di Valdagno. Oggi la liquoreria conta una produzione annua di circa 30.000 bottiglie, con lavorazione in lotti di produzione non superiori ai 500 litri proprio per garantire una elevata qualità, e sotto la guida di Daniela è diventata un’azienda gestita quasi esclusivamente da donne.
In un secolo se ne vedono di cose, e questa pandemia non sarà capace di cambiare il piacere di un paese intero di ritrovarsi al bancone a bere insieme e discutere. Basterà solo attendere un altro po’.
Carlotto – Valdagno (VI) – via Mastini, 8, 36078 – 0445 480814 – https://carlotto.it
a cura di Federico Silvio Bellanca
foto di Michele Tamasco
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