I dolci di Carnevale del Sud Italia
Il sangue del maiale in Campania
Del maiale, si sa, non si butta via niente: il vecchio detto diffuso un po’ in tutta Italia si esprime al meglio in Campania, con il sanguinaccio, specialità carnevalesca nata dalla pratica di utilizzare ogni ingrediente dell’animale dopo la macellazione, effettuata tra gennaio e febbraio. Un tempo utilizzato per scopi terapeutici, il sanguinaccio – mix di sangue di maiale, cacao, caffè e altre spezie – venne poi vietato per motivi igenici e per scongiurare il rischio di infezioni. In molte zone di campagna si continua a fare, ma la più diffusa attualmente è una versione moderna, una sorta di crema densa con cioccolato, latte, cacao, amido di mais, zucchero e cannella.
Non può mancare il migliaccio, dolce di origini medioevali che deve il suo nome al termine latino miliaccium, che fa riferimento al classico pane di miglio. In origine, infatti, si trattava di una torta a base di miglio e, ancora una volta, sangue di maiale, ingrediente immancabile sulle tavole contadine. Verso la fine del Settecento, la ricetta iniziò a somigliare a quella attuale, con farina, uova e zucchero al posto del sangue. Oggi, il migliaccio si presenta come una torta soffice e vaporosa, fatta con latte, semolino, ricotta, uova, burro e scorze di agrumi.
Gli struffoli in Calabria
Simbolo di buon auspicio e particolarmente legate alla provincia di Cosenza, le chinule calabresi sono dei ravioli ripieni di ricotta e fritti, quadrati o a forma di mezzaluna, alle volte con frutta secca e miele in aggiunta alla farcia. Si realizzano con una pasta sottile e leggera a base di olio extravergine di oliva, aromatizzata con anice, vermut o altri liquori a scelta. C’è poi la pignolata, molto simile agli struffoli napoletani o la cicerchiata abruzzese, una serie di palline di farina, uova e zucchero fritte nello strutto o nell’olio e ricoperte di miele.
La festa di Manfredonia e le specialità pugliesi
In Puglia il Carnevale è un tema serio e molto sentito: nonostante fosse a rischio per via della precaria condizione politica e amministrativa del comune, il Carnevale di Manfredonia, una delle feste più celebri della regione, verrà celebrato anche quest’anno, con tanto di specialità tipiche locali. Ma ci sono anche la festa di Putignano, quella di Gallipoli e molte altre ancora, ognuna con i suoi prodotti golosi. A Manfredonia, a farla da padrone sono le ferrate, tortine di pasta sfoglia ripiene di farro, ricotta, maggiorana, sale e cannella, nate in epoca romana e originariamente servite durante i matrimoni. In passato, venivano vendute nelle strade durante i giorni di Carnevale dai ragazzi più giovani già dalle prime ore del mattino, come viene descritto nella canzone di dialetto del poeta Michele Racioppa “A farrète”.
Diffusi in tutto il territorio sono invece i purcidduzzi, versione locale degli struffoli, insieme alle dita degli apostoli, dolce di origini antiche nato grazie alle monache dei conventi, che inventarono la ricetta per recuperare gli albumi avanzati dalle altre preparazioni. Si tratta, infatti, di frittelle di ricotta ricoperte da un involucro di soli albumi e zucchero, da gustare ben calde. Infine, i tenerelli, confetti colorati tipici di Andria, ripieni di nocciole o mandorle.
Il Molise, tra dolce e salato
Si preparano solitamente per Natale ma sono piuttosto comuni anche a Carnevale: le scarpelle sono delle frittelle di pasta lievitata dal sapore neutro, da gustare sia in versione dolce, cosparse di zucchero, oppure salata. Presenti anche qui gli struffoli e poi i caciatelli (o casciatielle), delle mezzelune di pasta sottile farcite con ricotta e fritte, che possono diventare dolci o salate a seconda della preferenza. Nella variante dolce, si aggiungono scorza di limone e cannella al ripieno. Immancabili poi le ciambelle, che qui assumono una forma elicoidale e prendono il nome di caragnoli, degli impasti di farina, uova e olio fritti e ricoperti di miele.
La mstazzulara e il rituale dei taralli in Basilicata
Una fra tutte è la specialità protagonista della festa in Basilicata: il tarallo al naspro. Una ciambella dalle forme irregolari e dalle grandi dimensioni, friabile, leggera e ricoperta di glassa, presente tutto l’anno ma particolarmente legata al Carnevale. Tradizionalmente offerto alla fine dei banchetti di nozze nelle famiglie più agiate, la sua preparazione era un vero rituale, durante il quale tutte le donne della famiglia si riunivano per impastare i biscotti sotto i consigli e lo sguardo attento della mstazzulara. la pasticcera più anziana ed esperta. La ricetta prevede farina 00, zucchero, uova, olio, anice, lievito e un pizzico di sale. Una volta cotti, vengono cosparsi con la glassa di zucchero e acqua. Sono particolarmente celebri i taralli glassati di Avigliano, in provincia di Potenza, dove vengono chiamati anche lu mstazzuol cu ru zucc’r’ oppure lu mstazzuol cu ru naspr’.
Il riso e i dolci arabi in Sicilia
Ancora palline fritte, unite tra loro a cerchio o in piccole monoporzioni (o a forma di pigna, come in questo caso), per essere poi ricoperte di miele: che si chiamino struffoli, cicerchiata, purcidduzzi o pignolata, poco importa, sono sempre loro, delle piccole delizie irresistibili profumate con scorza di agrumi e miele di vario genere, talvolta insaporite con zuccherini colorati e frutta candita. In Sicilia, ne esiste anche una versione glassata tipica di Messina e molto diffusa nella parte Orientale: stesso impasto ma ricoperto di glassa bianca aromatizzata al limone, al cedro oppure al cioccolato.
Proprio come in Toscana, anche nell’isola si usa friggere il riso: le crespelle di riso siciliane nascono dei conventi catanesi, in particolare nel Monastero dei Benedettini, e sono per questo chiamate anche benedettine. Si tratta di un impasto di riso cotto nel latte, aromatizzato all’arancia e fritto, preparato spesso anche per la Festa di San Giuseppe. Nel comune di Castelbuono, in provincia di Palermo, c’è invece la testa di turco, torta di origine araba composta da una serie di strati di sfoglia sottile fritta e crema di latte, ricoperta da confettini colorati in superficie.
La ricca tradizione sarda
Il Carnevale in Sardegna è una tentazione continua per i golosi. Si comincia da Cagliari, con la sua tradizionale ratantira e una serie di dolci squisiti, uno più buono dell’altro. Le zeppole, per esempio (zippulas o tzìpulas), soffici e scioglievoli ciambelle a base di farina, uova, latte, patate lesse e un pizzico di zafferano. Spesso aromatizzate con scorza d’arancia e fil‘e ferru, tipica acquavite sarda, affondano le radici nella Roma antica quando, in occasione delle feste Liberalia in onore di Liber Pater e della consorte Libera, il 17 marzo ci si abbandonava ai piaceri del vino, solitamente addizionato di miele e spezie, accompagnato a frittelle di frumento cotte nello strutto bollente. Il nome deriva proprio dal termine tardo latino zippula, che indicava un dolce a base di pastella e miele.
Ancora un inno all’abbondanza è la frittura araba, un impasto di farina, zucchero, uova, scorza di limone, allungato e piegato a spirale, fritto e ricoperto di zucchero. E poi ci sono le siringate, zeppoline tonde ripiene di golosa crema pasticcera. Come non menzionare, infine, i para frittus (letteralmente “frati fritti”), frittelle morbide cosparse di zucchero, aromatizzate con scorza d’arancia e apprezzate un po’ in tutta la regione. Solitamente vengono preparate a forma di ciambella, ma possono anche essere farcite con crema o confetture a mo’ di krapfen. Senza dimenticare gli uvuvones, palline preparate con farina, burro, zucchero, lievito e uova, fritte e ripiene – tradizionalmente – di miele e acquavite, anche se oggi sono disponibili in tante varianti.
Ricetta dei taralli glassati della pasticceria Tiri1957
Ingredienti
1,7 kg. di farina
400 g. di uova
200 g. di zucchero
200 ml. di acqua
20 ml. di liquore all’anice
170 g. di olio extravergine d’oliva
Per la glassa
1 kg. di zucchero di canna
250 g. di acqua
Procedimento
Amalgamare la farina con l’acqua, le uova, lo zucchero e l’olio, dopo aver impastato per qualche minuto aggiungere il liquore. Il composto deve risultare né troppo compatto né troppo morbido. Formare delle ciambelle e tuffarle in acqua bollente per alcuni secondi, poi scolarle. Posizionare i taralli su una teglia e infornare per circa 15 minuti.
Nel frattempo preparare uno sciroppo di acqua e zucchero e portarlo alla temperatura di 112/115° C dopodiché versarlo subito sul tavolo di marmo e lavorarlo immediatamente con una spatola finché ridiventa bianco. Una volta freddi cospargere i taralli con questa glassa e fare asciugare.
a cura di Michela Becchi
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