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Il Mateus di Ozpetek e la nostalgia degli anni ’70 e ’80: “Si portava alle cene, eravamo tutti più liberi”

«Quando sono arrivato nel 1976 in Italia questo Paese era un posto meraviglioso. Erano anni di incontri, stavi sempre a casa di qualcuno. Ricordo che si usava portare quel vino Mateus alle cene. Tutti erano molto, molto più liberi. In quel periodo, poi, la prima cosa che facevi quando conoscevi qualcuno era andarci a letto. Dopo decidevi se frequentarlo, se diventarci amico, se non te ne importava molto. E se invece mi chiede un giudizio sui social media, be’, per me hanno rovinato totalmente i rapporti umani. Non c’è più conoscenza diretta delle persone e non percepisci più il senso delle cose vere e reali. È tutto troppo filtrato, troppo fasullo». Ferzan Ozpetek, il regista turco italiano di adozione e grande amante di vini e di cibo, racconta a Vanity Fair il suo nuovo film, Diamanti, e ricorda i momenti belli della sua vita e del suo lavoro sui set cinematografici.

Gli anni d’oro del Mateus

L’affresco più bello e denso di quel vino e di quegli anni evocati da Ozpetek, però, lo ha scritto Andrea Gori – sommelier, giornalista e pure oste – sette anni fa su Intravino:
Il profumo di una ciocca bionda durante un lento in discoteca alla festa delle medie. Il colore di un tramonto a Torre del Lago di metà luglio, la difficoltà a far girare il gioco della bottiglia nel modo che speri. E il primo bacio rubato, la prima volta che ti senti grande: quella che ha detto sì a tutti tranne te, ma poi cede. Il Mateus Rosé può sembrare oggi, con gli occhi e il naso di un enofighetto, un sottoprodotto dell’industria del vino. Ma all’epoca, anni ’70 e ’80, fu qualcosa che cambiò la vita di tantissimi giovani uomini e donne. Tutti travolti dalla sua marea rosa di frutta di bosco, fragole, lamponi e quella nota dolce che non finiva più di agitarsi in bocca una volta buttato giù, nella fretta di consumarne un secondo bicchiere“. E pensare che in quell’epoca Andrea di anni ne aveva davvero pochi (è nato nel 1973!), certo non aveva l’età per assaggiarlo, quel rosato. Eppure ne coglie l’intimo essere.

Il rosato con più di 80 anni vende 23 milioni di bottiglie

Vino “da rimorchio”, quel rosato: faceva figo, con poche lire potevi far colpo e andavi a colpo sicuro. A cena con gli amici, al ristorante con un* partner, a casa, da soli o in compagnia: era un vino che faceva allegria. Il suo colore rosa salmone lo ha creato nel 1942 il portoghese Fernando van Zeller Guedes, blend di uve autoctone (baga, rufete, tinta barroca e touriga franca) che è (ed è stato) uguale a se stesso ogni anno della sua storia ultraottentenne (gli 80 li ha compiuti due anni fa: per l’occasione uscirono anche tre bottiglie in edizione limitata – nella foto sopra – e dedicate ai tre mondi che han portato fortuna e reso famoso Mateus, il fado di Amalia Rodriguez, il rock di Jimi Hendrix e la Dance Music: the feeling of being free che ha affascinato anche Ferzan Ozpetek).

Il vino non cambia, i tempi sì

Sembrava un vino superato, Mateus Rosé. E invece no. Ancora oggi riesce a vendere nel mondo oltre 20 milioni di bottiglie di cui più di un milione arrivano in Italia. Certo, non è più quel vino fighetto che faceva tanta atmosfera cinquant’anni fa. Chissà se dipende dal ricordo di chi allora non ne aveva neppure 20, come il regista turco, o se dipende dai cambiamenti avvenuti nel mondo e nel mercato del vino. O se invece è proprio un problema dei tempi attuali. In ogni caso, il Mateus continua a costare poco più del Tavernello e a stare sulla cresta dell’onda. Pensate che l’Italia è solo decima per volume di importazioni di Mateus Rosè, mentre la Francia – reginetta a culla dei rosati – è ben terza dopo Australia e Canada. Eh, sì… se il vino è sempre lo stesso, forse ha ragione Ozpetek a prendersela coi tempi meno liberi e meno gioiosi rispetto a cinquant’anni fa, uno dei momenti di maggior dinamismo del mondo occidentale di cui non a caso Mateus ha saputo farsi interprete e per buona parte icona. Un vino che continua a essere uguale a se stesso nei decenni tanto che in bottiglia non è indicata l’annata. Giovane per sempre, lui.

 

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Scritto da Gambero Rosso

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