Sull’Etna è boom di giovani imprenditori. Un’analisi del Consorzio Etna Doc, presentata in occasione degli Etna Days (in corso dal 12 al 14 settembre a Castiglione di Sicilia, in provincia di Catania), rivela che la quota di aziende di vino condotte da giovani under 41 è arrivata ormai al 20% del totale delle aziende sul vulcano, il doppio della quota nazionale (riscontrata da Ismea su base Istat) che è pari al 10%. Altro aspetto rilevante è che l’8% delle aziende giovani è guidata da donne. L’exploit dei giovani imprenditori è il frutto di un triennio 2020-2023 vissuto di corsa che ha visto l’aumento di ‘aziende giovani’ pari al 55% del totale capace di generare oggi 89 realtà produttrici. Un trend incalzante se rapportato alla crescita complessiva di nuove aziende (+16%), che conferma un movimento in rapido sviluppo da almeno dieci anni grazie a 445 produttori di uva, all’aumento della superficie vitata (+70%), della produzione di bottiglie (che è quadruplicata) e dell’enoturismo.
Il rinascimento dei vini dell’Etna
«Le nuove generazioni entrano con grande entusiasmo e stili diversi confrontandosi con la generazione che ha dato il via a tutto il movimento. Io stesso nell’ultimo decennio ho vissuto questo passaggio generazionale che è andato di pari passo con il rinascimento dei vini dell’Etna». A parlare è Graziano Nicosia, classe 1986, 38 anni compiuti alla vigilia degli Etna Days, ultima generazione della storica cantina omonima con sede a Trecastagni, sul versante sudest, nonché componente del cda del consorzio. «All’inizio della mia attività – racconta Nicosia – i produttori dell’Etna alle fiere internazionali erano appena una decina, ora siamo più di duecento. Il vino rosso siciliano più noto era il Nero d’Avola e si faceva molta fatica a parlare dei vini etnei. Negli ultimi 10-15 anni abbiamo vissuto una stagione frenetica che ha visto l’introduzione delle contrade nel disciplinare nel 2011 e l’affermazione del metodo classico con un cambiamento profondo del modus operandi». Il successo dei vini dell’Etna è diventato così un’opportunità per fare impresa per molti giovani che altrimenti avrebbero abbandonato l’isola. Come spiega il direttore del Consorzio Etna Doc, Maurizio Lunetta, in apertura degli Etna Days, «il vino qui è un calmieratore sociale sempre più decisivo: i giovani hanno ripreso a coltivare gli appezzamenti di vigna dei propri nonni, in una sorta di salto generazionale che permette di garantire lavoro a se stessi e a una manodopera numerosa».
È il mercato, bellezza!
Al di là dell’entusiasmo, però, resta il rischio che molte aziende troppo piccole o avviate senza esperienza possano fallire sul piano della sostenibilità economica. Avvisa Nicosia: «Fare vino sull’Etna è stimolante, ma richiede anche la capacità di posizionarsi sul mercato. È chiaro che ci sarà una selezione naturale: ho visto tanti giovani capaci di creare un marchio e di commercializzare il prodotto, altri hanno le idee più confuse e sono costretti a fare il passo indietro. Ma sono processi normali in tutti i settori: servono un progetto e una visione. Anche le dimensioni contano: Se non superi l’ettaro è difficile raggiungere la sostenibilità economica. Produrre mille bottiglie è uno sfizio, dalle 10 mila in su tutto cambia», avverte Nicosia.
L’altra difficoltà per i produttori più giovani è la capacità di mantenere la qualità, sempre più alta, raggiunta dalla denominazione. «È un rischio, ma è anche una opportunità: la concorrenza – garantisce Nicosia – aiuta ad alzare gli standard qualitativi. Chi entra in questo mercato sa che deve fare qualità altrimenti rischia di restare fuori. Sull’Etna c’è una corsa verso la qualità che obbliga tutti a mantenere un livello alto. Poi, certo, sarà il mercato a fare la selezione». Del resto, i 50 milioni di euro di fatturato franco cantina e i 150 mila euro di valore del vigneto per ettaro (5 volte più della media regionale) sono il segno che l’ascesa della Doc Etna nell’ultimo decennio può rappresentare un sostegno oggettivo alla sostenibilità economica delle imprese.
Frammentazione fa rima con diversità
Tanti giovani produttori possono creare frammentazione nel mercato e nello stile? Il tema è stato sollevato proprio sulle pagine del Gambero Rosso da Salvino Benanti, titolare della storica azienda omonima, che aveva proposto la fondazione di una cantina cooperativa sull’Etna, e da Seby Costanzo, guida di Cantine di Nessuno, che ha suggerito di diffondere il modello della cantina coworking. Ma anche questo, per Nicosia, è un problema relativo. Spiega: «Tra suoli, versanti e altitudini, il territorio etneo è per sua natura ricco di sfaccettature: la diversità è un valore. Anche sul piano stilistico, purché si rispettino i canoni qualitativi. L’Etna poi non ha un disciplinare rigido che impone uno stile univoco, quindi valorizza la libertà di interpretazione. I produttori più giovani e più piccoli sono spesso orientati verso i vini naturali: va benissimo, purché sia sempre rispettata la qualità».
Secondo i dati del consorzio, inoltre, anche a causa dei vigneti montani coltivati ad alberello, i 1500 ettari di vigneto complessivo della denominazione richiedono un monte annuale di oltre 200 mila giornate lavoro, con circa 2.500 persone coinvolte direttamente nella produzione. Un dato che, almeno in parte, smentisce il trend di abbandono delle campagne in cerca di lavori meno usuranti. «Posso testimoniare che i giovani imprenditori sono spesso gli stessi che fanno le lavorazioni in vigna. Per le aziende più grandi come la mia è diverso, ma nonostante sia sempre più difficile trovare manodopera locale disponibile, abbiamo tanti giovani in vigna», assicura Nicosia.
Voglia di enoturismo
Anche l’impatto sul territorio è evidente. «In questi anni – racconta Nicosia – il territorio etneo è cambiato tanto. Alcuni paesi dove oggi si produce vino un tempo erano deserti, adesso c’è fermento: ci sono i wine bar pieni e cresce l’enoturismo». Secondo uno studio dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly, infatti, l’affluenza di enoturisti sull’Etna (200 mila presenze) restituisce un valore aggiunto all’area di 123 milioni di euro l’anno. Inoltre, per ogni bottiglia consumata sulle pendici dell’Etna si genera un impatto (diretto, indiretto e indotto) in favore del territorio di 82 euro, 10 volte più del valore del vino alla produzione. Il binomio turistico vino-vulcano è praticato dal 60% delle imprese con tour e degustazioni guidate, mentre il 15-20% ha investito direttamente su strutture dedite all’accoglienza e alla ristorazione.
Lo buono stato di salute dei vini dell’Etna si evince anche dall’andamento sul mercato Usa, dove la viticoltura del vulcano rappresenta la punta di lancia della Sicilia vitivinicola. A fronte di un numero di bottiglie pari ad appena il 6% del totale delle Doc e Docg siciliane, la presenza dei vini dell’Etna sul mercato statunitense (60% di bianchi e 40 di rossi) vale il 28% in termini di volumi consumati. I dati emergono dall’analisi dell’Osservatorio di Unione italiana vini (Uiv) su base SipSource, la piattaforma americana che misura le vendite – e gli effettivi consumi nel breve termine – dei prodotti presenti nei 3/4 degli esercizi commerciali statunitensi. Ma il dato più significativo è che la quota a valore dei vini dell’Etna rispetto agli altri siciliani sale fino al 45%, per effetto di un prezzo della distribuzione che negli Usa si attesta sui 26 dollari al litro, quasi il triplo rispetto alla media delle denominazioni dell’Isola. «Non è un caso – ha detto il responsabile dell’Osservatorio Uiv, Carlo Flamini – che mentre i vini italiani vedono un forte sbilanciamento dei consumi sulla parte retail (Grande distribuzione, liquor store), con il 77% di quota sul totale, i vini etnei trovano come primo canale di consumo il cosiddetto “fuori casa” (ristoranti, bar, alberghi), con una quota sul totale del 62%, di 10 punti superiore alla Doc Sicilia».
Anche le vendite del primo semestre dell’anno sul mercato a stelle e strisce vedono la Doc etnea in controtendenza rispetto all’andamento globale con un sostanziale pareggio (-0,2%) a fronte di un contestuale calo tendenziale complessivo di vendite del settore pari all’8,8%, con i vini made in Italy a -6,4%.
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