Non è che le cooperative europee siano soddisfatte davanti all’ipotesi di eradicare i vigneti dal suolo e dai territori, ma tra i metodi per regolare il potenziale produttivo del settore vitivinicolo, in un momento di crisi dei consumi come quello attuale, questa misura di emergenza appare quanto mai necessaria a chi rappresenta le cantine sociali. Le quali, su questo specifico punto, non hanno intenzione di demordere. Non lo faranno nelle prossime settimane, che saranno cruciali nell’ambito del confronto inter-istituzionale sulle sfide del vino del futuro che è in corso da settembre. Entro metà dicembre, la filiera europea deve trovare una mediazione e una quadra, presentandosi a Bruxelles davanti alla nuova Commissione Ue, per aggiornare il quadro di regole in vista della nuova Pac post 2027. Secondo una recente bozza di intesa elaborata dal Gruppo di alto livello, di cui abbiamo parlato nel settimanale Tre Bicchieri del 21 novembre, gli espianti hanno avuto la luce verde, ma potranno essere finanziati solo con risorse interne agli Stati, vale a dire al di fuori delle disponibilità dei consueti Piani nazionali di sostegno (Pns) al settore vino. Per le cooperative, invece, le misure anti-crisi come l’estirpo dei vigneti dovrebbero prevedere anche una parte di contributo diretto da parte dell’Ue. Luca Rigotti, presidente del gruppo di lavoro vino del Copa-Cogeca, sigla che in Europa rappresenta oltre 20 milioni di agricoltori e 22mila agri-cooperative, lo spiega in questa intervista.
Partiamo dagli estirpi, mi pare che la cooperazione non abbia cambiato idea.
L’estirpo definitivo di un vigneto, come abbiamo detto, non è una misura di prospettiva. Tuttavia, in certe zone, credo abbia un senso, se intendiamo garantire un futuro al settore. Per questo, vediamo bene l’uso dell’estirpo temporaneo.
Ed è quello che avete chiesto al Gruppo di alto livello.
Abbiamo chiesto la proroga a 8 anni del valore delle autorizzazioni per gli impianti viticoli (oggi è di tre anni; ndr). Pertanto, prolungando questo tempo, praticamente si hanno a disposizione otto anni dal momento dell’estirpo per decidere se piantare, cosa ripiantare e quando reimpiantare. Quindi, non vedrei tale misura come penalizzante, bensì di rilancio del settore. Insomma, riteniamo che l’estirpo a tempo vada considerato, perché se in Europa ci sono delle zone con specifiche necessità, come sta avvenendo in Francia, è giusto garantire alle imprese la possibilità di trovare una soluzione alle difficoltà.
Sul nodo dei fondi, tra industria e cooperazione c’è ancora distanza. Su cosa insisterete?
Per le misure di crisi, quindi anche per gli espianti, ribadiremo l’importanza che i fondi non siano solo nazionali ma anche europei. L’Europa deve mettere a disposizione un po’ di soldi.
Avete proposto anche delle alternative?
In qualità di Cooperative europee, abbiamo chiesto di creare un fondo nazionale, destinato alle situazioni di crisi, da alimentare con quella parte di risorse del Piano nazionale di sostegno che nelle varie annualità non riescono a essere impiegate. Anziché ridare i soldi indietro all’Ue, vogliamo che vengano usati per risollevare il settore vino.
Come verrebbero gestiti dai singoli Stati?
Ogni Stato membro deve poter autonomamente gestire i fondi, certamente sotto la supervisione della Commissione Ue che, però, non deve avere un parere vincolante. Questa riserva deve essere usata nei momenti di crisi. Come vede, questo non equivale a chiedere più soldi.
Cosa succederebbe alle Regioni in cui ci sono stati degli espianti?
In questo caso, le Regioni che li chiedono non avrebbero diritto a chiedere l’aumento delle superfici vitate per un certo periodo di tempo. Che si tratti di due o tre anni questo è ancora da decidere.
E sulla promozione?
Abbiamo chiesto una semplificazione burocratica per andare incontro alle imprese.
Nella bozza del Gruppo di alto livello vino si parla anche di no-low alcol. L’Italia è ancora indietro sul fronte legislativo. Voi cosa ne pensate?
Come coordinatore vino per Alleanza cooperative, dico che per il settore vitivinicolo italiano i dealcolati possano essere un’opportunità. Sicuramente, un impianto per la dealcolazione è un investimento importante, ma ritengo ci siano degli sbocchi commerciali. Dal lato del consumatore, aggiungo che il consumatore abituale di vino non si riconosce nei dealcolati mentre ha una maggiore attenzione sui vini low-alcol. Ancora non abbiamo un decreto in materia, ma penso che anche su questo segmento, a livello ministeriale, siamo nelle fasi conclusive.
E sulla promozione dei dealcolati cosa pensa il Copa-Cogeca?
Come Copa-Cogeca abbiamo chiesto alla Commissione Ue che non ci sia distinzione tra dealcolati e vini convenzionali. La promozione sui mercati extra-Ue di una cantina deve essere fatta senza distinzioni sulle tipologie di vino. Quindi, nei regolamenti auspichiamo che non siano inserite specificità o premialità nei punteggi per le imprese che producono dealcolati. Chiediamo semplicemente parità di condizioni.
Tra i temi caldi, per la prossima Pac, ci sono anche quelli collegati alla crisi climatica in agricoltura…
Stiamo ragionando anche sulle assicurazioni per le imprese contro le calamità naturali e sulla tutela delle produzioni. Occorre, infatti, trovare un modo per far sì che il numero dei produttori assicurati sia più alto. Il che avrebbe l’effetto di abbassare i premi pagati dalle aziende alle compagnie assicurative. Sappiamo che non è semplice trovare una soluzione. Chiaramente, non è possibile optare per un’assicurazione obbligatoria come si fa, per esempio, sulle automobili. Ma il tema va affrontato perché certi fenomeni calamitosi, come abbiamo visto anche quest’anno, sono molto più frequenti rispetto a prima. Si discute, ad esempio, se mettere le reti per proteggere i vigneti ma è anche vero che non lo si può fare in determinati territori viticoli. Insomma, il quadro è complesso. Bisogna capire come e se rendere questa necessità un’opportunità a difesa delle produzioni e senza penalizzare gli imprenditori.
Il ruolo e il peso economico della cooperazione vitivinicola sia in Italia sia in Europa è indiscutibile. Attualmente, vi sentite ben considerati dalla Commissione Ue?
In un capitolo dei materiali in bozza in mano alla Commissione, si parla di cooperazione e di rafforzamento del mondo cooperativo europeo, a cui è riconosciuto un ruolo importante come modello organizzativo nel settore vitivinicolo. Questo, per noi, è molto importante, perché significa rendere esplicito il nostro valore.
Chiudiamo con una sua visione sul futuro del settore vino.
Il contesto economico è difficile, il costo del denaro elevato sta erodendo marginalità. Per fare gli stessi margini di qualche anno fa occorre lavorare un terzo in più. Ed è questo il vero male, perché si stanno fermando le economie e gli investimenti. Ci sono poi gli effetti delle guerre in Ucraina e Israele. E tutto ciò è al di fuori del potere delle decisioni del Gruppo di alto livello sul vino europeo. Al netto di tutto questo, però, ritengo che le nostre imprese abbiano una prospettiva futura. Dobbiamo sicuramente lavorare su diversi aspetti, come l’organizzazione, e vedremo quali saranno le misure a lungo termine della Pac. Sono certo che se l’economia cambierà rotta, le aziende vitivinicole saranno pronte a ripartire. La Pac riconoscerà al vino la sua specificità e il Gruppo di alto livello rappresenta, in tal senso, una pietra miliare di questo percorso.
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