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Estirpazione dei vigneti: Italia spaccata in due tra chi la considera un’eresia e chi si dice favorevole

Colli Fiorentini - Valvirginio - Toscana - vendemmia a mano - foto Cantina Colli FiorentiniColli Fiorentini - Valvirginio - Toscana - vendemmia a mano - foto Cantina Colli FiorentiniColli Fiorentini - Valvirginio - Toscana - vendemmia a mano - foto Cantina Colli Fiorentini

«L’Italia ci pensa» avevamo scritto qualche mese fa sull’ipotesi di estirpare i vigneti per provare a risolvere la crisi di sovrapproduzione. Tema molto delicato, soprattutto nel nostro Paese, con un dibattito che è iniziato e ha subito diviso le associazioni di categoria dopo che il maggiore sindacato cooperativo del Copa-Cogeca ha messo sul tavolo della Commissione Ue una proposta per un estirpo a tempo dei vigneti, come ha spiegato al Gambero Rosso il presidente del gruppo di lavoro vino, Luca Rigotti, che in Italia è il referente vitivinicolo di Confcooperative Fedagripesca. La proposta che ha trovato l’appoggio del ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, che non ha escluso un intervento simile a quello messo in piedi dai cugini francesi, con l’avallo dell’Unione europea, in nome dell’innalzamento della qualità dei prodotti made in Italy.

Ma cosa ne pensano i diretti interessati, ovvero le cantine italiane? Il Gambero Rosso lo ha chiesto alle medie e grandi cooperative, in questo sondaggio effettuato nel mese di aprile: il quadro è quello di una netta contrapposizione, di una spaccatura d’opinioni. La misura, da un lato, sembra sia vista come un’eresia e, dall’altro, trova dei sostenitori soprattutto in quei territori in cui le rese per ettaro sono insostenibili.

C’è chi dice sì

vigneto con forma di allevamento a tendone

Nel beneventano la Cantina di Solopaca, punto di riferimento del territorio, gestisce mille ettari con 600 soci per una produzione media annua di vino di 90mila ettolitri. Il presidente Carmine Coletta, nonostante un’annata 2023 scarsa nelle quantità per la peronospora, si dice «favorevole all’estirpazione dei vigneti per controllare la produzione di vino nazionale. C’è un calo dei consumi – spiega a Tre Bicchieri – e per una semplice regola del mercato, in cui il prezzo delle uve e dei vini è determinato dall’incontro domanda-offerta, se scende la domanda deve scendere anche l’offerta per tenere alto il prezzo». E i prezzi di vendita, per ora, in questo distretto campano, non sembrano all’altezza dei costi di produzione. Basti pensare che la redditività media annua per ettaro è intorno ai 4mila euro (in Francia l’estirpo è pagato a 6mila euro/ettaro). Pertanto, la base dei viticoltori, come riferisce lo stesso Coletta, sente molto la problematica: «Non riusciamo a liquidare loro prezzi dignitosi – sottolinea – in quanto vendiamo vini a prezzi bassissimi, soprattutto rossi. Il mercato è in una vera e propria stasi». Tuttavia, non c’è solo l’estirpo come soluzione per contenere le quantità, secondo Coletta: «Andrebbero create altre misure a sostegno del reddito dei viticoltori come, per esempio, l’enoturismo. Si deve produrre meno ma con qualità superiori per intercettare una clientela alto spendente e che nel vino cerca anche le esperienze che un territorio può offrire».

In Sicilia pronti a gettare la spugna

vigneti e grappoli uva

Tra i favorevoli all’estirpo dei vigneti, o quantomeno, tra i possibilisti c’è una delle grandi realtà del Trapanese, Colomba Bianca, che riunisce sei cantine, con 2.500 viticoltori e quasi 7mila ettari, per circa il 30% biologici. «Quando c’è crisi di mercato – riflette il presidente Leonardo Taschetta – ci sono sostanzialmente due modi per riequilibrarlo: o si espande il mercato o si riduce la produzione. Il primo è più difficile ma permette a chiunque di crescere e creare più ricchezza. In alcuni casi è consigliabile il secondo, ma occorre lungimiranza». L’estirpo si può fare «a costo zero», per esempio, allungando il periodo di sussistenza del diritto al reimpianto da 5 a oltre 10 anni: «In questo modo – secondo Taschetta – i produttori che estirpano i vigneti potranno attendere tempi migliori per reimpiantare. Se, infatti, non si desse questa possibilità, significherebbe non avere contezza della grave situazione del settore oppure chi dovrebbe decidere sarebbe in mala fede. Infatti, sarebbe immorale far scegliere ai viticoltori fra lavorare in perdita o perdere il loro diritto di reimpiantare i vigneti». Il rischio, secondo il presidente, è depotenziare i terreni estirpati in Sicilia per trasferirne i diritti ai territori che notoriamente hanno rese per ettaro superiori, con conseguente aumento anomalo di produzione, aggirando così il divieto di nuovi impianti.

«Quindi, solo dopo aver allungato i tempi della scadenza dei diritti a 10 anni si potrebbe pensare a una estirpazione definitiva. Ma personalmente – aggiunge il presidente di Colomba Bianca – ritengo sia appropriato agire con un aiuto cadenzato in più anni, abbinando lo sradicamento delle viti alla semina di piante che contribuiscono a riequilibrare la sostanza organica dei terreni, nella logica di una vera sostenibilità». Tra le altre soluzioni possibili, secondo Taschetta, c’è l‘incentivo alla produzione di mosto concentrato e mosto concentrato rettificato (oggetto, tra l’altro, della prima e discussa inchiesta di Report sul vino italiano) per usi diversi dal mondo del vino, con un supporto economico ai produttori nell’introduzione in altri canali dell’industria alimentare. Si tratta di strategie che «innalzerebbero la qualità e ridurrebbero l’offerta, auspicando una limitata estirpazione, soprattutto per le produzioni con maggiori difficoltà di mercato». Il clima attuale non è tranquillo e il dibattito tra i soci delle Cantine Colomba Bianca è vivo: «In molti sono a rischio demoralizzazione. E purtroppo c’è chi ha voglia di gettare la spugna e non vedrebbe l’ora di attingere a qualche contributo per estirpare definitivamente. La Sicilia, però, rischierebbe di diventare una mega centrale elettrica eolica e fotovoltaica, con il paradosso che faremmo energia green eliminando tutto il verde delle nostre campagne».

Dalla Sardegna i dubbi delle Cantine di Dolianova

Di parere opposto Cantine di Dolianova, la più grande cooperativa vitivinicola della Sardegna (1.200 ettari). Il presidente Sandro Murgia è netto sull’ipotesi dell’espianto e guarda agli effetti e i rischi sul mercato: «Siamo contrari alle estirpazioni perché non risolverebbero il problema, ma si andrebbe incontro a una sostituzione dei vini italiani con prodotti provenienti dal resto del mondo». Il tema, pertanto, non è nemmeno in discussione tra i viticoltori soci, che nel 2023 hanno tuttavia conferito oltre il 30% in meno (per la grandine e il caldo di fine luglio): «Non ci risulta ci sia tale esigenza. Anzi – aggiunge – per controllare i volumi è da decenni che i viticoltori della zona del Parteolla «hanno adottato un disciplinare di produzione che limita notevolmente le rese dei vigneti a bacca rossa riducendo le quantità di vino, migliorandone la qualità». Il momento di crisi, secondo il presidente Murgia, si affronta quindi con altri sistemi: «Siamo fermamente convinti che sia necessario l’intervento dei Consorzi di tutela per comunicare bene ai consumatori un prodotto ultramillenario che trasmette storia, territorio e che, consumato in modo regolato, può solo giovare alla salute».

Valide alternative

Cantina Colli Fiorentini - meccanizzazione dei vigneti in Toscana

«Siamo contrari alle estirpazioni, riteniamo che una migliore gestione del potenziale viticolo nazionale possa sopperire alla pratica delle estirpazioni». Lo afferma il presidente di Cantina Colli Fiorentini, Ritano Baragli, che aggiunge: «Siamo in una regione dove le produzioni ad ettaro sono veramente basse, per cui la produzione elevata di vino non riguarda la Toscana. Il patrimonio vitivinicolo regionale – spiega – ha rese che vanno dai 70 ai 110 quintali ad ettaro: non alberga da noi l’eccesso di produzione». Secondo l’esponente della cantina dei Colli Fiorentini, che è tra i più grandi produttori di Chianti Docg, i vigneti in zone meno vocate sono già stati abbandonati ed estirpati, mentre ciò che è rimasto «è un patrimonio da conservare».

La cooperativa (che riunisce oltre 850 imprese su 1.500 ettari) appare concentrata più sul nodo del ricambio generazionale: «Stiamo cercando di dirottare le superfici dei viticoltori che sono al termine della loro professione ad altri che hanno un futuro nell’azienda. Se non incentiviamo il ricambio assisteremo a una progressiva riduzione di superfici». In sostanza, il tema degli estirpi non interessa le realtà della Valvirginio dove il vero pericolo è l’andamento climatico.

«Non riscontriamo nei viticoltori la necessità di estirpare vigneti. La problematica – sottolinea Baragli – potrebbe riguardare piccoli produttori, con superfici poco estese, che non hanno ricambio». Eppure la realtà non è proprio rosea dal momento che la cooperativa vende principalmente prodotto sfuso, con una vendita diretta di imbottigliato che vale il 20-25 per cento. Nel 2023, la Colli Fiorentini ha perso il 30% di produzione: «I nostri soci – racconta – hanno avuto danni principalmente da peronospora, ci sono aziende che hanno conferito zero. Aziende che non so come faranno ad arrivare alla nuova vendemmia e all’acconto che daremo a dicembre sulle uve che ci verranno conferite». E il mercato è complicato: «C’è un calo importante dei consumi nel Chianti, nel Chianti classico, in gran parte delle denominazioni toscane, anche le più blasonate. Possiamo solo sperare – conclude Baragli – in una stabilizzazione dei consumi o in una ripresa del mercato. Cerchiamo, comunque, di non abbassare le quotazioni: il problema del calo dei consumi non si risolve abbassando il prezzo».

Viticolture virtuose

Terre Cevico - vigneti in Romagna

C’è un principio che Franco Donati, presidente di Terre Cevico, ama sottolineare: «La cooperazione non dovrebbe mai traguardare l’estirpazione dei vigneti, anzi. Noi, negli ultimi anni, abbiamo sempre guardato con scetticismo anche le misure di gestione del mercato come le distillazioni o vendemmia verde». Poi, però, c’è la realtà attuale, fatta di cambiamenti climatici, profonde crisi economiche e geopolitiche, riduzione dei consumi e nuove abitudini della popolazione: «Situazioni – dice a Tre Bicchieri – che ci obbligano a riflettere e pensare a possibili soluzioni. Ma prima di investire risorse per estirpare siamo convinti che bisognerebbe bloccare per alcuni anni la crescita annuale del vigneto congelando la quota dell’1% in più, che annualmente i Regolamenti europei prevedono come possibilità».

Di estirpi, quindi, il Cda della grande coop romagnola (player da 217 milioni di euro di ricavi, con 5mila soci), ne parla da tempo. «Siamo consapevoli che, al di là delle sovvenzioni, molti vigneti marginali verranno comunque estirpati nel breve periodo», riflette il presidente Donati riferendosi, in particolare, ad alcune aree di collina, senza irrigazione e con terreni molto duri, che «non sono in grado di ritagliarsi uno spazio di mercato tale da permettere un reddito sostenibile». Tuttavia, secondo il presidente di Terre Cevico (che da gennaio 2024 opera come cooperativa di primo livello, includendo quindi l’intera filiera di produzione dei vini), il tema vero sono le risorse: «Quelle disponibili dovrebbero essere spese per investimenti in innovazione, miglioramento qualitativo, sostenibilità e promozione. Pensiamo sia necessario un piano d’azione nazionale che tuteli le aree e le viticolture virtuose, che sanno stare sul mercato e investono per rendere efficienti le proprie strutture e organizzazioni e che, in qualche modo, rappresentano la base per la viticoltura italiana dei prossimi 20 anni».

Una discussione aperta

Evidentemente il confronto nella filiera italiana sugli estirpi è solo agli inizi e la base appare scissa e divisa, a seconda dei territori, delle denominazioni e tipologie di riferimento. Le stesse associazioni di categoria, dalla Coldiretti all’Unione italiana vini, dalla Cia alla Federvini e a Confcooperative Fedagripesca, con tutte le differenze del caso ne stanno discutendo senza, per ora, essere arrivati a una quadra.  Siamo certi che l’argomento terrà banco per tutto il 2024 e molto dipenderà dall’andamento della nuova annata. Resta chiaro che, in un contesto di riduzione dei consumi, un’Italia che arriva a produrre circa 50 milioni di ettolitri annui per tre campagne consecutive (2020-22), appare un po’ anacronistico. Pertanto, andranno studiate ulteriori misure per controllare i volumi. E forse ha ragione, nella sua estrema praticità da manager di una società non cooperativa, Alessandro Mutinelli, amministratore delegato di Italian wine brands (società per azioni quotata alla Borsa italiana, con quasi 430 milioni di euro di ricavi nel 2023): «In alcune zone italiane c’è una sovrapposizione strutturale che va tolta e, quindi, in queste aree – commenta al Gambero Rosso – non ha più senso produrre se non c’è la domanda». E proprio alle società private il settimanale Tre Bicchieri dedicherà un nuovo sondaggio.

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