La zuppa di pesce è una preparazione trasversale a molte culture, davvero un patrimonio gastronomico che nelle sue innumerevoli declinazioni può considerarsi globale. A prescindere da dove ci si trovi, nasce storicamente quale piatto povero diffuso tra i pescatori. In Provenza è una vera e propria istituzione e prende il nome di Bouillabaisse, una di quelle portate simbolo della cucina mediterranea e francese. Forse, gli appassionati della saga di Harry Potter se la ricordano come uno dei piatti preferiti di Hermione Granger. E in un episodio Asterix e Obelix la offrono ai Romani come specialità. Ma se vi dicessi che ad apprezzarla era anche un certo Paul Bocuse? Già, come lo chef, rappresenta un pezzo di storia della gastronomia che non possiamo certo ignorare.
Storia della Bouillabaisse
La denominazione si ricava per etimologia dall’occitano bolhabaissa, che rimanda alla seguente azione: “abbassare l’ebollizione”. O più semplicemente da “bouille et abaisse”, che letteralmente significa: “bolle e abbassa (il fuoco)”. Come suggerito etimologicamente, questa pietanza richiede all’inizio della preparazione una fiamma vivace e, in seguito, una cottura più graduale, di modo che possa sobbollire a temperature moderate. In origine, questa zuppa provenzale veniva cucinata con il pesce rimasto inveduto dai pescatori stessi di ritorno dal lavoro. A furor di popolo viene considerata oggi una specialità tradizionale della città di Marsiglia, ma secondo alcune ricostruzioni avrebbe origini più remote, legate all’antica Grecia e risalenti al periodo antecedente il 600 a.C. Addirittura, il mito romano narra che sia stata Venere a offrirne una porzione al dio Vulcano — il marito — tanto da tenerlo occupato, o farlo addormentare, per poter poi sedurre Marte. Data la contiguità territoriale, non ci si deve sorprendere se la Bouillabaisse venga preparata pure in Liguria e dintorni. In quest’ultimo caso però il nome corretto è boiabessa.
La charte de la Bouillabaisse
La sua evoluzione ha portato a numerose varianti, sofisticate e sempre meno povere o stilizzate. La pietanza è diventata molto costosa, passando dall’essere un piatto cucinato nei capannoni dei pescatori a uno sofisticato da bistrot parigino. Si pensi a quella lussuriosa, caratterizzata dalla presenza dell’aragosta, ideata dal ristorante Les Trois Frères Provençaux di Parigi, che ha reso l’insegna una tappa storica. In tempi recenti, la ricetta viene manipolata in modo fraudolento nei pressi dell’area portuale e in corrispondenza delle altre zone turistiche — si utilizzano specie ittiche che poco hanno a che vedere con la versione originale e che spesso non sono neanche fresche — per fini puramente lucrativi. A fronte delle vendite truffaldine e dell’interminabile dibattito su quale sia l’autentica bouillabaisse, 17 ristoratori marsigliesi si sono accordati nel 1980 per redigere la charte de la Bouillabaisse, una sorta di disciplinare che restituisce un senso di certezza alla preparazione, in tal modo codificata.
La ricetta originale secondo la carta del 1980
Iniziamo con il dire che rispetto alle altre zuppe marinare presenta un ventaglio aromatico ancora più composito. Da quanto enuncia infatti la carta del 1980, arricchiscono la ricetta non solo pesci di scoglio squamati (sicuramente scorfano, tracina, grongo e lucerna), ma anche arancia, finocchio e zafferano, che vanno dosati per evitare di compromettere il risultato finale. Alle note iodate seguono i sentori derivanti da pepe, cipolla, prezzemolo, aglio e pomodoro. In base a quanto previsto, la Bouillabaisse andrebbe servita in due piatti diversi, rispettivamente per brodo (una specie di court-bouillon) e pesce. Completano la preparazione dei crostini di pane in precedenza strofinati con dell’aglio, la salsa aioli e la rouille, un’emulsione tipica provenzale a base di pane, fumetto di pesce, tuorlo, aglio, peperoncino e olio evo, che con le sue tonalità richiama il colore della ruggine.
Altre curiosità sulla Bouillabaisse
Un altro dilemma che investe la bouillabaisse riguarda la presenza o meno delle patate. L’opinione generale è che queste siano state integrate nella ricetta a partire da un’usanza diffusa a Tolone, e per questo non sarebbero necessarie. In ogni caso, la parte liquida si gusta calda con i crostini, mentre il pesce “a secco”, insieme all’aioli e alla rouille. Le varianti ormai si sprecano e tendono ad allontanarsi dalla ricetta-modello sancita dalla carta del 1980: al pesce si aggiungono altre specie ittiche, dai crostacei ai molluschi bivalvi. Come è vero che adesso taluni la preparano con quanto si trova, cioè quello che c’è da pescare; dunque, pure gallinelle, triglie, dentice, rana pescatrice, san pietro e orata. Tutti elementi che ne fanno una pietanza destinata a perdere di identità, venendo meno alla propria origine “proletaria” — non è per tutte le tasche — e avvicinandosi alle zuppe della tradizione locale italiana, a cominciare dalla Quatara di Porto Cesareo.
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