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Il problema della biodinamica non è l’esoterismo, ma la comunicazione

Esoterismo o vino di qualità? Il mondo del vino si spacca sul tema della biodinamica. Cento anni dopo le conferenze di Koberwitz, il metodo di coltivazione teorizzato da Rudolf Steiner è entrato in diversi vigneti di tutto il mondo. Nella lunga lista che ne hanno adottato i dettami non mancano nomi illustri. Uno tra i tanti: il Domaine de la Romanée-Conti, tra le più importanti realtà vitivinicole della Borgogna che alla fine degli anni ’90 ha iniziato a sperimentare su 6 ettari, per  poi convertire l’intero dominio in biodinamica nel 2006. Eppure rimane una profonda vena di scetticismo che la guarda con sospetto. Nel 2022 le rimostranze del premio nobel Giorgio Parisi e della biologa Elena Cattaneo sono state l’espressione di un forte dissenso nell’ascrivere una qualsiasi validità scientifica alla biodinamica che infatti è stata esclusa dalla legge quadro del biologico. Più voci però mettono in evidenza i limiti di questa visione che relega la biodiniamica a un insieme di “stregonerie”, evidenziandone i punti di forza.

La biodinamica non è stregoneria

«Per la biodinamica si può parlare di un approccio che ha a che vedere con la scienza» dice Cristina Mercuri, wine educator, in lizza per diventare la prima donna Master of Wine italiana. «È stato osservato, infatti, come questo metodo porti a una maggiore moltiplicazione dei microrganismi e una maggiore fertilità del suolo». «C’è molto di raccontato e poco di reale su come funziona la biodinamica» dice Luciano Mallozzi, docente della Fis (Fondazione Italiana Sommelier). «Sull’esoterismo è facile arrivarci perché certi aspetti, come l’uso delle fasi lunari, il corno letame, sono pratiche che danno questa idea. Si parla di energie cosmiche, ma anche dell’uso di materiali non comuni durante la vinificazione». Mallozzi riporta l’esempio dell’azienda di Champagne Leclerc Briant, che lascia il vino in barrique a contatto con una lamina d’oro. «Nella biodinamica il metallo è associato al fuoco e rimanda alla fermentazione alcolica come energia vitale. A qualcuno potrà sembrare che si stia facendo una pozione magica, ma è probabile che alcune pratiche portino dei benefici». L’esoterismo sarebbe quindi solo una copertina di superficie e che toccherebbe approfondire. «Non è una stregoneria, non c’è magia nella biodinamica, è un insieme complesso di elementi che quindi a volte è difficile da capire e da spiegare. C’è una parte di una parte di energia, ma non c’entra niente con bacchette magiche o incantesimi» spiega Mercuri. 

Il problema della comunicazione

Un problema centrale è quindi quello di comunicare cosa sia veramente la biodinamica, aldilà delle singole pratiche. «Credo ci sia una scientificità dimostrabile» afferma Mallozzi «anche se i produttori biodinamici sono legati a una vena di romanticismo che li fa dire “è così, fidati”. Perché ci sia il timbro della scienza, però, quest’ultima deve entrare nel mondo della biodinamica, ma non saprei dire chi non apre questa metaforica porta a chi».

Anche il mondo della comunicazione dovrebbe riportare maggiormente «l’aspetto scientifico» dice Mercuri, «perché ci sono dei report scientifici che dimostrano alcuni aspetti positivi, ma la scienza non è brava a fare marketing e  giustamente i giornalisti non sono degli scienziati e non sono obbligati a spulciare tra cose anche difficili da trovare» afferma Cristina Mercuri. «Dovrebbe esserci molto più comunicazione tra mondo scientifico e mondo della comunicazione per distinguere tra pratiche che sono frutto di un ragionamento olistico che si basano su alcune energie e pratiche che hanno una basi scientifiche».

La biodinamica non deve giustificare i difetti

In relazione al cambiamento climatico un metodo che salvaguarda la fertilità del suolo è sicuramente un punto da tenere a mente. «É uno sguardo intelligente sul futuro, perché premia la vitalità del suolo e quindi si lavora nell’ottica che possa aiutare la pianta nei momenti difficili ad essere più resiliente» dice Mercuri, ma vanno tenute in mente diversi aspetti. «In questo momento storico è un’alternativa e un percorso migliorativo, sempre che non la si usi solo per una questione di moda – le fa eco Mallozzi – Va sottolineato che scegliere la strada della biodinamica comporta una necessità di maggiori attenzioni e rischi per portare a casa il risultato. Ma trovo  che sia doverosa una premessa: un vino deve essere buono, senza difetti. Non mi piace mettere la biodinamica sull’altare della purezza. Sono a favore di un interventismo minimo, ma il problema è l’uomo e molto spesso la usa come mezzo per vendere prodotti non ottimali dal punto di vista organolettico. Dico questo perché la biodinamica si lega al territorio, all’autoctono, alla tipicità, a un aspetto di non interventismo, ma a volte si trovano prodotti che presentano difetti. Prima, pensando alla biodinamica la si associava a una mela bitorzoluta e con il verme e indicandola come “naturale”, ma non è così. Con questa pratica si possono ottenere vini di ottima qualità e più digeribili di altri in quanto non viene addizionato quasi nulla al prodotto».

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Scritto da Gambero Rosso

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