L’Antipasto fa parte della storia culinaria (recente) dell’Italia intera. E seppur ci sia chi ne fa risalire le origini addirittura ai tempi dei romani, tesi più accreditate parlano della sua diffusione a partire dal Settecento e dall’Ottocento. Ne è convinto Alberto Grandi, professore associato di Storia del cibo all’Università di Parma e autore del volume “Denominazione di origine inventata: le bugie del marketing sui prodotti tipici italiani” edito da Mondadori che oggi è anche un podcast. È lui a sostenere che prima di queste date non esistesse la concezione di antipasto come lo intendiamo oggi poiché in passato tutti i piatti si mescolavano sulla tavola, senza un ordine preciso, ordine imposto dalla cucina francese solo nel XVII secolo. Ed è dunque ai francesi, secondo Grandi, che si deve l’invenzione dell’antipasto con quell’ordine nei menù che si aprono con hors-d’oeuvre (antipasto appunto) che nasce nel Seicento e si rafforza nei secoli successivi. L’antipasto italiano può invece essere fatto risalire alla fine dell’Ottocento: ne parla per la prima volta Pellegrino Artusi nel suo La scienza in Cucina e l’arte di mangiar bene del 1891. Spartiacque nella storia della cucina italiana, questo volume raccoglie 790 ricette tra cui appunto, quegli antipasti che lui chiama principii e che identifica con ostriche, salumi, lingua, acciughe, sardine, caviale serviti da soli o accompagnati con il burro, ma anche con i crostini a cui abbina dai fegatini di pollo ai tartufi.
L’antipasto moderno, come lo intendiamo oggi, nasce nel Dopoguerra e si fortifica, diventando tradizione unica e identitaria, nelle diverse regioni italiane. E oggi non c’è ristorante della Penisola che non lo proponga: che sia di pesce, di terra o di verdure poco importa, dalla giardiniera alle zucchine in carpione, dal Ciauscolo servito con il pane all’insalata di mare regna incontrastato nelle tavole italiane. Anche in quelle di fine dining che, negli ultimi mesi, lo stanno valorizzando, sostituendo la singola portata a un tripudio di piatti serviti tutti nello stesso momento. Vediamo questa nuova tendenza attraverso la proposta di tre ristoranti e capiamone il perché.
Incö
È opera dello chef Simone Cantafio (allievo di Gualtiero Marchesi e braccio destro della famiglia Bras) l’esperienza al tavolo di Incö nella weinstube de La Stüa de Michil, il ristorante stellato che lo chef di origini calabresi guida in Alta Badia. Siamo nel cuore delle Dolomiti, all’intero dell’Hotel La Perla di Corvara, dove su un tavolo spogliato dal lato più cerimonioso del servizio di un ristorante stellato si propongono piatti che sono espressione di territori e relazioni tra cucina e contadini.
La tavola diventa luogo di racconto di convivialità e identità, ricordo e accoglienza attraverso un percorso in tre atti che inizia con l’antipasto all’italiana a cui seguono una portata da condividere e i dessert. Piatti che, nomen omen (Incö in ladino significa oggi) raccontano della quotidianità di un prodotto, di una materia prima con cui giornalmente Simone Cantafio decide il menù da proporre la sera, come dicono le Villnösser Brillenschaf, le pecore con gli occhiali di Günther Pernthaler in Val di Funes, così come il miele, lo speck, i maiali, i tacchini, il sale di montagna e un’antichissima varietà di grano saraceno. O ancora le lumache che Andrea Facci e Lucia Perlot allevano a Fai della Paganella o gli allevamenti di Hubert Comploi in quel di La Valle (Bz). Gli antipasti, qui, sono serviti in sei portate messe tutte sulla tavola nello stesso momento: sono i commensali a servirsi direttamente dai piatti davanti a loro. Qualche esempio? Cannelloni farciti di stinco e gratinati al tartufo nero, Brodo di manzo chiaro, Lumache all’arrabbiata o ancora Polpette di salsiccia e finocchietto o Crostoni di pane con patè di fegatini di montagna.
SanTommaso 10
Ha aperto da quasi un anno a Torino il nuovo ristorante di Lavazza nel luogo dove, nel lontano 1895, Giuseppe Lavazza realizzò la sua drogheria che diede inizio a quell’impero del caffè oggi conosciuto in tutto il mondo. A guidare la giovane brigata è stato chiamato Gabriele Eusebi, chef di origini marchigiane con esperienze a La Madonnina del Pescatore con Moreno Cedroni, al Mugaritz di Luis Andoni Aduriz o ancora, tra gli altri, a fianco di Federico Zanasi da Condividere, l’altro ristorante torinese firmato Lavazza. La proposta del SanTommaso 10, sin dalla sua apertura, è vocata a rendere omaggio alla cucina italiana riportandone alla luce sapori della tradizione rivisti con tecniche e gusti della cucina contemporanea. E il via, in questa impresa, è proprio con quel Carosello di antipasti, serviti contemporaneamente sul tavolo, che è già icona di condivisione.
«Lo spunto è quello della cucina italiana degli Anni ‘80», spiega Eusebi e così nascono piatti come il Carpaccio di ventresca con rucola e bottarga (che rinnova la storica albese con rucola e grana), la Crêpe suzette di razza, cotta nel burro, sfumata con l’Aurum (liquore abruzzese) e servita con salsa all’arancio e zest di arancio. O ancora quell’insalata russa che qui si trasforma visivamente in una cassata per rendere omaggio al celebre pasticcere di Noto, Corrado Assenza. «L’antipasto – spiega lo chef – è il primo impatto, il bigliettino da visita che uno lascia. Abbiamo deciso, come è nello stile del ristorante, di giocare sull’informalità con preparazioni oneste e schiette e di gusto, preparazioni giocose che vanno a lavorare sui ricordi e puntano sulla condivisione. Per fare questo torniamo al menù alla francese, rivedendo il passato e adattandolo alle esigenze del presente».
Ristorante Une
Siamo a Foligno (Pg), del cuore dell’Umbria più autentica e qui, Giulio Gigli ha aperto il suo Une, un ristorante che è un inno d’amore che pare scritto appositamente per questa terra. Dopo anni di esperienze all’estero (tra gli altri Disfrutar, 1947 al Le Cheval Blanc, Benu e Il Pagliaccio), Gigli torna a casa e realizza un luogo dall’identità molto forte, vocato alla valorizzazione delle materie prime locali, ma con un grande sguardo verso il mondo. Tavoli in legno, apparecchiatura minimale, stacchi di colore arancione e salmone che ricordano quelli agricoli del luogo raccontano di un ambiente accogliente circondato da 5 mila metri dove coesistono un orto, una terrazza, una cucina esterna, un piccolo frutteto, un campo di grano per produrre la farina che serve alla panificazione.
Due i menu degustazione che iniziano, entrambi, con un grande antipasto composto da quattro o cinque portate. «Mi piace pensare – spiega Gigli – che l’inizio del nostro percorso possa ricreare una situazione conviviale e, per molti, aiuti a far riaffiorare ricordi come per me possono essere quei pranzi della domenica in famiglia in cui il primo piatto era preceduto da una tavolata piena di affettati, formaggi, intingoli, verdure. L’antipasto ricorda, in molte persone, momenti di festa e mette le persone a proprio agio anche al ristorante».
Ecco spiegata la proposta gastronomica di Gigli che inizia con il classico benvenuto e prosegue con quell’antipasto all’italiana composto da più portate. Da Une (che in umbro significa acqua) si lavorano nel corso dell’anno numerose conserve: si spiega perché l’antipasto, qui, ne proponga sempre come nel caso di quella di fiori di aglione. Ma ci sono anche le foglie di rapa rossa e patate con una crema di aglione e chimichurri di rucola selvatica; la lingua di vitello glassata servita con cavolo nero affumicato e una olandese alla nocciola e tartufo nero; spuma di zucca al pepe timut con praline di semi di zucca tostati e panna acida. Chiaramente tutto dipende dal corso delle stagioni e racconta di una proposta dinamica e divertente in cui, nell’antipasto, hanno un ruolo centrale anche le erbe spontanee e i fiori.
ARTICOLO TERMINATO!
E come sempre ti raccomandiamo: se hai domande, dubbi, chiarimenti di qualsiasi tipo, scrivici nei commenti o lascia la tua valutazione! Il team di FOODTOP è al tuo servizio per offrirti un servizio di qualità. Per richieste di collaborazione e di carattere promozionale Contattaci via email. Un saluto dal team di Foodtop!