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æde: la cucina del nord arriva a Roma
Si chiama æde, con il grafema tipico dell’alfabeto danese. E infatti l’insegna richiama un termine danese che significa mangiare. Nello specifico quell’atto primitivo degli animali che si potrebbe tradurre con sbranare, divorare, avventarsi sul cibo.
“È un po’ un ossimoro” ammette Fabrizio Cervellieri, che di questo spazio capitolino è chef e socio. La proposta, infatti, si muove su un filo più sottile di quel fine dining in salsa nordica tutto contrappunti e fermentazioni.
Cose che riflettono, senza indugi, sulla lezione di Redzepi & friends: “una di quelle che vive un successo mondiale. Credo sia il momento giusto di proporla anche qui a Roma”. Dimenticate le grandi abbuffate e la cultura gastronomica mediterranea – non troverete neanche un piatto di pasta nel menu serale – qui si guarda in alto, puntando verso nord e verso cime innevate. “Sono nato in Abruzzo da una famiglia friulana. E in Friuli ho abitato” racconta “sono stato sempre in contatto con una cucina poco mediterranea”. E questo marchio di fabbrica lo ha accentuato nel suo percorso professionale: a Londra prima – tra Ramsey e Oliver, dove ha imparato a stare in cucina – a Berlino poi, per 9 anni, dove ha acquisito gran parte della sua formazione. Qualche passaggio in Danimarca (un breve stage al Relæ, una tavola che l’ha folgorato) completare il quadro.
Da Berlino a Roma
“Il Filetsück, a Berlino, dove sono stato per più tempo” racconta “era un ristorante principalmente di carne, un fine dining con menu degustazione, tra i migliori di Germania. Lì ho conosciuto il dry aging, le frollature, e cominciato a lavorare sulle fermentazioni” racconta. Tre filiali, di cui una – in particolar modo – inserita nel panorama dell’alta ristorazione. Poi il salto imprenditoriale, diventando ristoratore egli stesso. “A un certo l’ho acquistato e ho aperto un mio ristorante con la mia cucina, che è quella che faccio anche oggi”. Le cose andavano bene, ma poi è nata l’esigenza di rientrare in Italia, poco prima della pandemia.
L’esperienza di Solo Crudo a Roma
Approda a Roma, dove prende in mano la cucina di Solo Crudo nel quartiere Prati, cui comincia a dare la sua impronta: “da vegano a vegetariano” innanzitutto. E poi il resto: fermentazioni, marinature, approfondendo il lavoro sui vegetali. Una linea che continua ancora oggi: “amo molto il mondo vegetale, anche oggi metà della carta è vegetariana”. Anche qui, dopo poco, salta dall’altra parte della barricata, “abbiamo rilevato la società e aperto un nuovo format”. Parla al plurale, intendendo lui e Tommaso Falconi, che si occupa della sala.
Ad aprile scorso æde apre i battenti nei locali che erano di Solo Crudo. Il nome è un manifesto programmatico, e parla di una precisa volontà: “fare una cucina molto nordica usando prodotti per lo più italiani, teniamo tantissimo alla sostenibilità, ogni produttore scelto passa una attenta selezione”. Cucina italiana? “Mai fatta, neanche all’estero. Me l’hanno chiesto ma ho un amore viscerale per i paesi nordici e ho sempre seguito quella linea lì, in cucina”.
I fornitori di æde
“Non è stato complicato trovare fornitori che mi piacessero: Fauno che fa una bella ricerca per selvatico e microgreen, L’orto di Clapi, Fedro, una distribuzione che ha prodotti straordinari”. La carne è italiana, lavorano molto maiale nero, “ma sto puntando a prendere vecchi fornitori che avevo a Berlino, soprattutto per frisone allevate al pascolo libero, tra Germania e Polonia, fichissime”. Per alcuni prodotti si rivolge al nord Europa: “per esempio per il merluzzo nero di profondità o le capesante, per certe cose non appena arrivi alle Alpi cambia tutto”. Ma nel complesso è l’Italia la sua dispensa di riferimento.
Cosa si mangia da æde
Il menu è snello: 13 piatti che cambiano ogni mese, e spesso si trasformano con il passare dei giorni; in carta c’è solo il nome degli ingredienti principali, 4 al massimo, tutti con lo stesso peso, senza che uno sia protagonista e gli altri accessori. Il modo in cui il piatto viene realizzato, però, può cambiare anche molto, “in base a quello che stiamo provando in cucina, giochiamo molto”. Un esempio? Il calamaro: prima con crauti stufati e olio all’anduja, poi ripieno di crauti fermentati e due maionesi, una all’anduja e una alle erbe. “Ci annoiamo facilmente, ma conoscendo bene il prodotto siamo liberi. Non mi piace perdere un mese a studiare un piatto e poi tenerlo una vita sul menu, preferisco cambiarlo su 3 o 4 volte in un mese e fargli raggiungere qual che per me è un apice verso la fine della sua vita”. Si va molto a mano libera: “non stiamo lì a provare ogni volta tutto il menu, vado molto a sensazione, ho nel mio bagaglio la conoscenza dei sapori, e anche se la metà di quel che faccio spesso ancora non l’ho assaggiato, o magari l’ho provato ma in un modo diverso, vado così… sarà esperienza o fortuna”. E va sempre bene? “No! Succede pure che un’idea che ti sembra pazzesca, la impiatti e ti rendi conto che non funziona. A quel punto cambio in corso d’opera. In ogni caso mente cuore braccio vanno all’unisono”. Qualche caposaldo resta, ma spesso non con la ricetta completa, se non altro per un discorso di stagionalità. Un piatto che valica il confine tra due mesi è il maiale con finocchi e arance fermentate, “quello probabilmente rimarrà”. Poi ci saranno cose come verza, quaglia con aceto di mele cannella e mele a pezzetti – “molto acido e molto spinto, un tipico piatto tedesco”, un risotto funghi muschio e foglie, e tra i dolci un risolatte con rape rosse e mirtilli.
Si sceglie dal menu: da 3 piatti in su, ognuno a 10 euro, ma ci sono anche i degustazione, da 8 (89€) o 13 passaggi (129€). “Vogliamo mostrare alle persone che si può provare un certo tipo di cucina spendendo il giusto, per noi è importante che chiunque possa avvicinarsi, e magari tornare, provando sempre cose nuove: spendendo 30/40 euro è possibile. Capisco benissimo i ragazzi che hanno necessità di controllare la spesa”. La formula piace, e tanto – “non ce lo aspettavamo” – anche perché non ci sono sorprese sul conto; la clientela serale è molto varia, e annovera spesso ospiti stranieri o colleghi capitolini, mentre di giorno ci sono molti impiegati degli uffici vicini. Il pranzo, che cambia 2 volte a settimana, ha piatti più semplici, che guardano sempre a nord ma concedono qualche compromesso, per esempio nella scelta di 2 paste che nel menu serale non ci sono, ma non manca mai uno smorrembrod, con un pane ai semi preparato appositamente dal vicino forno Colapicchioni, magari farcito con sgombro o altro pesce azzurro, o un merluzzo nero di profondità e cavoli.
Nordici anche gli ambienti, con quel minimalismo non algido, e il tocco delle bellissime ceramiche artigianali di Pots, di Sebastiano Allegrini, scoperto su Instagram: una settantina tra piatti e scodelle, un bell’investimento, “non sarei partito senza questi dettagli”. La cantina è in fase di cambiamento: ci sono ancora delle cose della vecchia gestione, mentre stanno arrivando cose nuove: “si punta tanto al naturale, anche se non mancano dei classici. E poi” racconta “stiamo lavorando sull’analcolico, facendo prove su kombucha aromatizzate”. Il resto è un menu tutto da scrivere, un mese via l’altro. Il prossimo entrerà il 6 novembre.
Æde – Roma – via Federico Cesi, 22 – 06 8897 4793 – https://de-scandinavian-restaurant.business.site
a cura di Antonella De Santis
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